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Scritto da nel Internazionale, Numero 120 - 1 Giugno 2015 | 0 commenti

La lezione inglese

La lezione inglese

In Regno Unito, ancor prima della fine degli scrutini, i leader dei tre principali partiti sconfitti alle elezioni legislative del 7 maggio scorso hanno presentato le loro dimissioni. Allorquando si è reso palese il trionfo dei conservatori di David Cameron, che hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi, in 50 minuti Ed Miliband, Nigel Farage e Nick Clegg hanno lasciato i loro incarichi, senza appello né possibilità di ripensamento.

Ed Miliband, brillante politico di 45 anni, è stato eletto segretario dei laburisti 5 anni fa, quando sconfisse per pochi voti il fratello maggiore David, allora sostenuto dall’ex premier ed ideatore del “New Labour” Tony Blair. Nonostante l’ancora giovane età e le qualità che tutti gli riconoscono, si è dimesso alla prima debacle elettorale assumendosi la «totale e assoluta responsabilità della sconfitta». 

Nigel Farage, da quando è stato eletto segretario dell’Ukip (anche lui dal 2010), ha dato visibilità e insperata importanza al Partito per l’Indipendenza del Regno Unito. Ha ottenuto un ottimo risultato alle elezioni europee dello scorso anno ed anche alle ultime elezioni il 12,5% di consensi raggiunto dall’Ukip non è trascurabile. Ma il sistema elettorale inglese, maggioritario in collegi uninominali a turno unico secondo il principio first past the post, è spietato ed ha riservato al partito di Farage un solo seggio a Westminster. Farage non ha esitato a dimettersi da leader del partito, nonostante la consapevolezza che al fine di ottenere consensi, Cameron ha strappato in campagna elettorale una promessa agli elettori molto cara all’Ukip, ovvero il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. La stessa ragione di vita del partito indipendentista.

Nick Clegg, 48 anni, dopo la sconfitta si è invece dimesso da segretario del partito liberal democratico, ruolo che occupava dal 2007. Vice-primo ministro uscente, Clegg piò vantarsi di aver finalmente portato al governo il suo partito nonostante un sistema elettorale penalizzante per le  formazioni che hanno consensi diffusi ma per nulla concentrati. Grazie all’ottimo risultato conseguito alle elezioni del 2010, il partito di Clegg ha formato un governo di coalizione con i conservatori del premier uscente e riconfermato David Cameron.

Altro che play station e scaricabarile. Altro che il teatro al quale stiamo assistendo in queste ore dopo il risultato delle elezioni regionali ed amministrative in Italia. La lezione inglese è quasi umiliante per noi: dopo le elezioni,  i leader sconfitti fanno i complimenti al vincitore e si dimettono dalle rispettive cariche.

Qui risulta persino difficile fare un’analisi del voto. Tutti si dicono vincitori, tutti accusano gli altri d’aver perso consensi. Tempi difficili si annunciano per il popolo italiano poiché la politica che lo rappresenta sta implodendo. Ci sono gli esagitati leghisti, convinti veramente di vincere le elezioni nazionali con delle ricette offensive ed infantili. C’è il Partito democratico di Matteo Renzi, che non ammette obiezioni, formato da fedeli cortigiani che sono quanto di più distante dal poter diventare classe dirigente. C’è una minoranza di sinistra poco credibile, poco dignitosa e confusionaria. C’è il centrodestra, vecchio e indecoroso. C’è il Movimento Cinque Stelle, rabbioso e incapace di sfruttare i limiti clamorosi delle altre formazioni politiche. Soprattutto, c’è un sistema politico che non è riuscito a non far candidare alla presidenza di una regione un ineleggibile.

La drammatica incapacità d’autocritica da parte dei partiti favorirà la crescita dell’astensionismo fino a limiti forse mai visti nella storia dell’Italia repubblicana.

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