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Scritto da nel Numero 120 - 1 Giugno 2015, Politica | 0 commenti

Renzi perdente?

Renzi perdente?

L’errore politico di Renzi è stato credere che il 40% conquistato alle Europee potesse essere un suo pacchetto personale di voti: non è così ed è bene che queste elezioni regionali lo abbiano ricordato. Una vittoria politica è sempre la vittoria di una strategia intorno alla quale si raccoglie un consenso largo e diffuso, che in quanto tale non può essere gestito con arroganza e supponenza ma richiede una attenta e quotidiana opera di sintesi.

In un panorama politico frammentato come quello italiano ed europeo, dove le larghe coalizioni sono da anni la chiave di volta della stabilità, pensare di riformare la Costituzione a colpi di maggioranza e di condurre le riforme a colpi di tweet e decreti, seguendo programmi mai presentati né condivisi, è via lungo la quale il consenso non si raccoglie ma si distrugge. Bullizzare le minoranze politiche e i corpi sociali intermedi storici è metodo che aliena le simpatie e la vicinanza dei militanti di un partito che da sempre vi ricercano il rappresentante delle proprie istanze.

Non era questo il Renzi delle europee: quando vinse un anno fa si era appena abbeverato alle procedure parlamentari del cambio di governo, aveva fondato la sua credibilità sulla sua fedeltà al PD dopo le sconfitte interne, aveva scommesso su un progetto unitario. Niente di tutto questo sembra rimanere nel Renzi di oggi.

La sconfitta in Liguria e la vittoria risicata in Umbria sono il segno che le candidature ad alto tasso di mediatizzazione come in Veneto condannano all’inconsistenza politica, che nel sistema di oggi le vittorie sono più del candidato che del partito, come nei casi vincenti di Emiliano e De Luca, e come nei casi perdenti di Moretti e Paita, ove si osserva che non avere un tessuto connettivo dentro ai partiti impedisce i trasferimenti di consenso tra il premier e i suoi candidati.

 E’ plausibile che Renzi continui la sua folle corsa oppure che faccia uso della sua scaltrezza per riposizionarsi. Può proseguire verso il tentativo di seppellire gli ultimi baluardi della nostra Prima Repubblica, il Renzi del Job Act e dell’Italicum, il Renzi che rompendo il Patto del Nazareno si taglia i ponti alle spalle e pare lanciarsi a tutta velocità senza il controllo del volante. O può ricordarsi del Renzi degli 80 euro che aveva capito che è il presidio del fronte interno la strada della vittoria.

Renzi è stato un abile centometrista, ma la cifra politica si misura sulle lunghe distanze. Alla fine della maratona vedremo se Renzi avrà saputo lasciare un segno nella Storia o se sarà lui ad essere stato segnato dalla condanna di diventare la macchietta di se stesso rientrando in buon ordine nel mare magnum del calderone mediatico che sembrava padroneggiare.

Di fronte a lui si è rimesso in piedi il centrodestra in cui Silvio comincia la sua attività di leading from behind e che si gode la sua ritrovata esistenza, con un Salvini in crescita ma che da solo non è vincente, mentre il 5stelle si trova paradossalmente stabile e forte nel suo insediamento presso un elettorato sempre più distante da una politica tanto innovativa a parole quanto incapace di un’operatività manageriale all’altezza delle sfide della burocrazia e dell’Europa.

Per quanto la Seconda Repubblica si sforzi di ricondurre il gioco della politica a un videogioco in cui l’unico requisito è che qualcuno vinca, la complessità del tema della rappresentanza e della varietà degli interessi politici in gioco politico continuano a rendere vano ogni tentativo di normalizzare ciò che nella sua normalità è complesso. Vedremo nei prossimi mesi se queste regionali rimarranno un monito inascoltato o se l’inconcludenza di una sinistra che cerca di ridefinire la propria missione a prescindere dal dibattito politico sarà tratto persistente di un nuovo Renzi in versione perdente.

 

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