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Scritto da nel Internazionale, Numero 121 - 1 Luglio 2015 | 0 commenti

Ritorno alla politica

Ritorno alla politica

La Grecia e l’Europa, l’Italia e l’Europa. Il debito e Francoforte, i migranti e Bruxelles. Nel dibattito che – più che coinvolgere – avvolge in questi giorni i cittadini del Vecchio Continente c’è un filo rosso che lega i ragionamenti. Un filo rosso che ha varie tonalità di colore e che evidenzia temi d’eguale importanza e di difficile trattazione: la sovranità nazionale dei paesi membri dell’Unione e l’azione solidale verso i soggetti che presentano difficoltà, il peso dei potentati economici e finanziari nelle scelte comunitarie e il diritto a impostare la strategia organizzativa e amministrativa dello stato. Si tratta di questioni che vanno valutate con la bilancia della lungimiranza, poiché gli errori che eventualmente si commettessero ora ricadrebbero con le loro conseguenze sulle vite di chi verrà dopo di noi. È lampante che l’Unione non è ancora forte a sufficienza per stemperare facilmente le spinte nazionalistiche che provengono da più parti (spesso note: conservatorismi oltranzistici e fanatici) più per abitudine al lamento e alla protesta che per un disaccordo con una riflessione alle spalle; mentre è meno chiara la ragione per cui, a distanza di cinquantotto anni dalla fondazione, questa associazione di stati non sia riuscita a darsi una forma istituzionale definita, forte e soprattutto riconosciuta dai cittadini, che percepiscono una distanza e un’inconsistenza tale da non poter credere che nelle sedi comunitarie si rappresentino tutte le istanze.

Appare sempre più evidente l’assenza dell’elemento fondamentale, prima ancora che qualificante, nella costruzione di una società democratica: la politica. Ripartiamo dalla definizione del termine. Si legge sul vocabolario Treccani che politica è la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica. Non c’è bisogno di appartenere o riconoscersi in questa o quella parte per rendersi conto del fatto che in ciò che accade oggi mancano sia la teoria sia la pratica che hanno per oggetto la cosa pubblica: pensiamo alla Grecia e alla nostra incapacità di solidarizzare con un popolo in ginocchio, pensiamo ai migranti che i militari salvano ogni giorno a centinaia e alla nostra incapacità di mostrarci pietosi nei confronti di chi fugge da una guerra e dalla miseria (e qui mi preme ricordare che fra povertà e miseria c’è un cratere semantico che s’identifica nella dignità umana).

La politica deve riprendere possesso del suo ruolo; l’Europa deve riuscire ad ascoltare ogni sua parte e a interpretare la necessità di rinnovamento della struttura decisionale. Solo così il lucro privato non terrà più sotto scacco le scelte dei nostri rappresentanti, e al contempo gli atteggiamenti discriminatori e le mancanze d’altruismo non troveranno il modo d’imporre chiusure nei confronti di chi cerca solo una risposta d’umanità.

Siano dunque i popoli uniti nei principi fondamentali della loro civiltà: perché ciò avvenga è necessario che ciascuno di noi rimuova o contribuisca a rimuovere ogni forma di massimalismo, prodotto d’ignoranza e insensibilità che nell’epoca delle problematiche globali muta chi lo perpetra in un anacronismo vivente supportato da uno spirito vigliacco e da intenti che hanno nulla di patriottico e tutto di patriottardo.

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