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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 127 - 1 Marzo 2016 | 0 commenti

Lingua e dialetto

Lingua e dialetto

Con il dialetto si può esprimere tutto ciò che si esprime in lingua, anzi, spesso con maggiore plasticità ed incisività. Capita a tutti di passare dalla lingua al dialetto quando, accanto a fattori logici, esterni, generali e uniformanti, operano fattori emotivi – affettivi, rievocazioni onomatopeiche e d’intonazione che permettono di sottolineare le sfaccettature personali con efficacia e pregnanza creativa e, spesso,  con coloriture umoristico – satiriche.

I termini del rapporto lingua-dialetto non si devono porre in forma antitetica fino ad escludere l’uno o l’altro perché, pur avendo funzioni diverse, operano su piani correlati ed in rapporto dinamico tra di loro.

L’ambiente socioculturale, in cui vive ogni individuo, esercita solitamente un potente influsso dialettale per la sua forza espressiva e per la naturale carica affettiva che va dalla famiglia alla cerchia più larga degli amici e della vita paesana o di quartiere. II soggetto, d’altra parte, inserendosi nel gruppo di appartenenza, si appropria anche del patrimonio culturale ed esperienziale del gruppo stesso, compreso il codice linguistico che lo contraddistingue.

Secondo il semiologo svizzero Ferdinand de Saussure (1837-1813),la lingua è un sistema, un micro meccanismo di regole di natura sintattico-grammaticale la cui applicazione mette in condizione di produrre frasi corrette. Il linguaggio, invece, è la facoltà – peculiare della specie umana – di associare contenuti ad espressioni o, meglio, di dare espressione sensibile a contenuti mentali. Il linguaggio, rispetto alla lingua, è qualcosa di molto più profondo e pervasivo. Questa facoltà, tipicamente umana, non è tanto una tecnica effettivamente adoperata quanto piuttosto una dotazione potenziale che può concretizzarsi in una varietà di tecniche espressive. I variegati  mezzi espressivi altro non sono che diverse realizzazioni tecniche dell’unica facoltà di linguaggio. Che si parli in dialetto o in lingua standard non ha importanza dal punto di vista del linguaggio. Si tratta in ogni caso di codici diversi, ciascuno con un suo sistema appropriato di regole, che realizzano l’unico potenziale semantico di cui l’individuo dispone che è, appunto,  la facoltà di linguaggio, intesa come capacità di associare contenuti ad espressioni.

In quest’ottica il problema del rapporto lingua-dialetto diventa un falso problema. A scuola o in famiglia  si deve stimolare il linguaggio e questo si può fare utilizzando il dialetto, l’italiano popolare, l’italiano regionale o, addirittura, si può fare mediante codici non verbali. L’impegno formativo  deve essere diretto non a costruire competenze su regole quanto, piuttosto, a stimolare e sviluppare quel potenziale di cui l’essere umano dispone e che spesso non sfrutta o non sfrutta compiutamente.

La prima regola, per coloro che hanno responsabilità educative, si può così riassumere: non cancellare ciò che il soggetto ha per dargli ciò che non ha, ma utilizzare ciò che possiede per sviluppare quelle capacità che faranno da base per l’acquisizione di altre abilità.

Spostando l’accento dalla lingua al linguaggio, forse a scuola si risolve anche il problema della motivazio­ne nell’apprendimento della lingua. È ben noto che molti allievi presen­tano difficoltà in campo linguistico. Per quale motivo ? Perché le difficoltà in italiano spesso sorgono proprio perché non si ha nes­suna seria ragione per impararlo. Apprendere regole per fare temi, per decodificare brani di lettura, per ca­pire quello che dice l’insegnante: sono tutte motivazioni estrinseche. Privilegiando il linguaggio si aiuta  l’alunno a percepire che esso non è soltanto, anzi non è affatto, uno strumento per andare bene a scuola. L’allievo si convincerà gradualmente che il linguaggio è un efficace stru­mento di controllo dell’esperienza e delle situazioni sociali. Il linguag­gio, infatti, è strettamente legato allo sviluppo mentale ed è stimolo di vita sociale. Sviluppando il lin­guaggio si rafforza anche la com­plessa competenza della comunica­zione che implica non solo il livello linguistico e semantico ma anche il rapporto  sociale.

Resta da  esaminare ancora un altro aspetto rilevante che riguarda la fase di crescita della prima infanzia. Il bambino che impara a parlare non apprende soltanto ad emettere suo­ni verbali osservando determinate regole. Egli impara a riflettere su se stesso impegnando tutte le compo­nenti affettive, cognitive e relazio­nali: quando parla egli proietta all’esterno la sua personalità, tutta la sua personalità. Il primo sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del bambino è spesso le­gato al dialetto come veicolo e sup­porto del suo pensiero e della sua esperienza. La personalità del bam­bino è abbarbicata a questo tronco vitale e c’è un’intima unione tra per­sonalità e dialetto. Una drastica le­sione dell’apparato espressivo dia­lettale può produrre una ferita della sua personalità. Reprimere il primo codice, rappresentato dal dialetto, equivale a reprimere o vulnerare la stessa personalità.

L’individuo, abituato al suo codice e legato ad esso in modo osmotico, ha l’impressione che, se e quando viene represso il suo codice espressivo, si tenti di cambiare non solo e non tanto il suo linguaggio, ma anche e soprattutto il suo modo di pensare e di essere. Da qui la sensazione inconscia di vivere in due mondi contrapposti: da una parte la famiglia e il cortile e dall’altra la scuola.

Il passaggio dal dialetto alla lingua nazionale o standard, che pure a scuola  bisogna  realizzare, non deve configurarsi come rinunzia, ma come acquisizione che avviene per differenziazione ed integrazione. L’accesso alla lingua standard si realizza così come sviluppo continuo e progressivo: la prima lingua (il dialetto) si espande nella seconda (la lingua standard). I due codici si differenziano in quanto operano a livelli diversi ed hanno funzioni diverse, ma sono integrati nella stessa personalità. Il dialetto costituisce il naturale punto di partenza per la conquista della lingua nazionale così come l’ambiente ristretto e immediato  rappresenta il trampolino di lancio verso più larghi orizzonti esperienziali e culturali. L’obiettivo formativo deve mirare ad armonizzare i due codici linguistici mediante un passaggio non brusco e traumatico, ma graduale e continuo. Così operando il soggetto diventerà gradatamente consapevole che in certe situazioni si può usare la più incisiva espressione dialettale, mentre in altre circostanze è opportuno esprimersi in lingua standard.

Per concludere si può dire che esiste un modo di esprimersi  per le comunicazioni di carattere generale e  molti altri – regionale, cittadino,  rustico – che sono funzionali ai bisogni specifici della comunicazione.

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