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Scritto da nel Internazionale, Numero 146 - 1 Dicembre 2017 | 0 commenti

La strada per la dignità

La strada per la dignità

È di questi giorni la notizia che nell’ultimo dei colloqui diplomatici tra i rappresentanti dell’Unione Europea e dell’Unione Africana sono stati discussi accordi di cooperazione che riguardano la gestione dei migranti. Decine di signori incravattati hanno convenuto che è necessario aiutare i paesi africani a far fronte ai fenomeni interni e internazionali – ma a sud del Mediterraneo – con lo scopo di far arrivare sempre meno persone agli imbarchi e facilitando così il compito delle polizie europee di occuparsi di clandestini che vanno salvati, sfamati e rimpatriati. Si sono sentiti anche appelli all’unità d’intenti perché queste genti siano rese protagoniste di rimpatri, come se questo risolvesse il problema. Problema che invece risiede in una semplice e terribile questione, apparentemente ancora lontana dall’essere compresa: che cosa spinge una madre incinta a prendere in braccio un figlioletto e a investire tutto ciò che possiede nel mettersi in mano a sconosciuti rischiando le loro vite per raggiungere un luogo di cui non sa nulla? Che cos’altro, se non la disperazione? E allora, il giorno in cui sarà rientrata – ammesso che accada, quindi che sia viva – nel paese di origine con una bocca in più da sfamare, che cosa sarà cambiato?

La cecità politica di chi gioca a Risiko con le vite di milioni di persone è aberrante. Si continuano a leggere numeri gettati a cifre per le quali la preposizione circa suona come una presa per i fondelli. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati parla di centinaia di migliaia di persone che hanno raggiunto la Libia; il governo italiano snocciola come fosse un successo il drastico calo di arrivi via mare; il parlamento di Strasburgo è un fiorire di dichiarazioni d’intenti sul denaro che va dato ai paesi africani per disincentivare i movimenti continentali ed extracontinentali. Si discute, si tratta, ci si vanta, e nel frattempo esseri umani muoiono in mare, nei campi libici, nel deserto, per strada. A casa.

In questo parlare e cercare di costruire ponti economici (nella speranza che i mattoni non si perdano per strada), che sarebbero ben più forti se saldati di elementi di scambio culturale, c’è in ogni modo una nota positiva: sembra che finalmente nelle istituzioni ci si cominci ad accorgere di come sia indispensabile pensare in grande, ben oltre la propria provincia. Manca il passaggio dell’ingiustizia del confine, ma è sotto gli occhi di tutti la necessità di offrire a ogni luogo la possibilità di garantire una decenza della vita.

La dignità passa dall’igiene, dalla sanità, dall’istruzione, dalla solidarietà. Costruendo fondamenta tanto importanti si otterranno edifici sicuri e protettivi. Perché lo svedese ama stare in Svezia? Perché ha tutto ciò che gli serve, nonostante viva in un luogo dalle condizioni climatiche proibitive. Così sarebbe anche per un nigeriano, se potesse dare a sé e alla sua prole il futuro a cui ogni persona merita di aver l’occasione di aspirare.

Il mondo è uno, e le sue risorse naturali sono per tutto il genere umano. La povertà, le malattie, la depressione sociale attanagliano diversamente donne e uomini in tutto il mondo e creano quei disagi che portano alla fuga, all’esasperazione, alla follia. Ce ne rendiamo conto, davvero? Quanto tempo abbiamo dedicato a informarci sull’attentato che ha fatto più di trecento vittime solo qualche giorno fa? Quale decoro possiamo vantare se riusciamo ad appassionarci solo a ciò che accade accanto a noi e perciò, sbagliando, individuiamo l’unico interesse nella difesa nazionale quando il virus letale è planetario? Indipendentemente dalle politiche che pian piano devono essere messe in atto, insomma, la Terra non può non mirare a unirsi e questa tendenza è mostrata perfino da accordi come quello siglato sulla protezione dei migranti: un passettino piccolo, piccolissimo, ma avanti, perché la consapevolezza è un elemento importante del calcestruzzo con cui si arma la fondazione della dignità umana. I popoli non sono che momentanei agglomerati di persone, la cui unica patria presto o tardi non potrà essere altra che il mondo intero.

 

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