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Scritto da nel Numero 149 - 1 Marzo 2018, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Le idi di Marzo

Le idi di Marzo

Il governo presieduto dal conte Eugenio Filippini aveva le ore contate già al momento del proprio insediamento nel maggio del 2037, sorreggendosi su una maggioranza piuttosto friabile, ribattezzata “sbrisolona” in omaggio alle origini mantovane del suo leader. Questi era riuscito a proporsi con una certa abilità come il solo in grado di fare da collante fra le varie anime del moderatismo, imperante nel paese in quei decenni, anime che posizionandosi, chi più chi meno, al centro del panorama politico si scannavano per mere volontà di spartizione del potere e per prestigio di lobby se non financo personale.

Non vi erano più contrapposizioni ideologiche da quando le nazioni europee si erano accordate per eliminare alla radice il problema dell’immigrazione dall’Africa. Nell’estate del 2022 il fantoccio dell’Europa aveva definitivamente abdicato al suo ruolo storico, decidendo nel summit di Copenaghen la separazione fra una Confederazione, di stati sovrani, del Nord che andava dalla Gran Bretagna, all’Ungheria e agli stati baltici e una Confederazione gemella del Sud, in cui erano confluiti tutti i rimanenti paesi che si affacciavano sul Mediterraneo, oltre alla Turchia che in un drammatico referendum interno aveva deciso di votarsi ai pochi soldi occidentali piuttosto che alla perenne instabilità dell’area mediorientale e islamica. Garanti di questa ridefinizione dei confini interni ma soprattutto del supporto bellico per tenere chiuse all’esterno tali Confederazioni erano i due ex giganti del mondo: Stati Uniti e Russia, la quale nel frattempo aveva inglobato nuovamente nella sua sfera di influenza diretta i rimanenti stati dell’Est Europa, privati invece di sovranità, ad eccezione della Serbia e della Macedonia che, pur prive di approdi marittimi, entrarono a far parte della confederazione europea di serie B.

Lo spiegamento di forze militari per assicurare le frontiere meridionali rimaneva straordinario e doveva venire finanziato costantemente ma con la pax mondiale raggiunta fra gli assetti dominanti (a Stati Uniti, Europa del Nord e Russia si aggiungevano India, Cina e Corea) si poterono stornare somme infinite al fine di ricacciare nella propria disperazione i popoli del terzo mondo. L’approvvigionamento petrolifero non costituiva più una necessità e dunque per ottenere un avamposto di frontiera che fungesse da sentinella era sufficiente ungere con pochi dollari le elites che comandavano in Iran, in Israele, nei vari emirati arabi, in Indonesia e l’obiettivo dell’impenetrabilità perenne era cosa fatta.

Insomma in entrambe le Confederazioni si sonnecchiava e si vivacchiava, seppure in quella ricca si riuscisse a mantenere standard di vita di poco inferiori a quelli di inizio secolo mentre in quella povera si era tornati a situazioni tardo ottocentesche dal punto di vista della distribuzione delle ricchezze, con la riproposizione dei grandi oligopoli industriali e dei latifondisti agrari, nonché con la proprietà finanziaria e dei servizi in mano a multinazionali del primo mondo. Tutti i governi che si succedevano si limitavano ad assecondare tale trend economico e di politica estera, agendo, di rado, con le leve della repressione e più spesso spingendo nell’apatia e nella disaffezione sociale i propri sudditi.

Filippini era consapevole che ai suoi danni in quella vigilia elettorale si stava consumando una congiura di palazzo che lo avrebbe pugnalato alle spalle a urne appena aperte, per il tramite di un provvedimento giudiziario. In realtà egli divenne vittima proprio di quella abilità a tessere relazioni che lo aveva condotto a cloroformizzare eccessivamente la vita politica del paese, instillando così nella popolazione il dubbio che le finte schermaglie fra i diversi partiti di centro fossero oppiacei utili alle sole elites dominanti. In Portogallo l’anno precedente gli episodi di ribellione si erano moltiplicati e così pure in Albania e a Cipro, dove si era arrivati agli spari in piazza. Si trattava di fenomeni limitati e propri solo degli ultimi anni però qualche inquietudine l’avevano creata nei palazzi del potere.

Il premier inoltre era riuscito a convincere i propri alleati a votare all’inizio della sua legislatura una riforma elettorale di piccolo cabotaggio ma con una novità dirompente nella storia politica: se non si fosse raggiunto il quorum del 25% le elezioni sarebbero state dichiarate invalide. Tale mossa aveva una valenza d’immagine democratica, fumo negli occhi per coloro che lamentavano una frattura eccessiva con la gente, ben sapendo che difficilmente si sarebbe scesi sotto tale soglia, seppure la media delle ultime tornate elettorali oscillasse ormai fra il 45 e il 50%. Nell’imminenza delle nuove elezioni, fra le diverse fila della coalizione, questa ipotesi di fantasia cominciava comunque a provocare qualche brivido e a convincere tutti che il conte poteva tornare ad occuparsi dei suoi allevamenti di pesce d’acqua dolce sulle rive del Mincio. L’astro nascente era un finanziere prestato da tempo alla politica, tale Pasquale Ciccotti; egli era anche il leader di uno dei tre principali partiti della coalizione e l’artefice principale della congiura contro Filippini. Tali formazioni politiche di centro raccoglievano, da una ventina di anni, più del 80% dei suffragi italici e pur sgambettandosi e a volte persino scontrandosi su alcuni temi marginali, finivano per dare vita sempre a grandi coalizioni di governo, cui partecipavano anche, a volte uno a volte un altro, i partiti minori, sempre comunque centristi. Ma da un paio di anni si faticava a ricucire, troppi rancori personali fra esponenti di punta dei tre partiti e troppi interessi di cordata da tutelare. Ecco perché dopo un paio di anni di poltrona barcollante, il governo Filippini aveva ricevuto la sfiducia e si era andati a elezioni anticipate.

La sola novità della tornata elettorale del marzo del 2040 era rappresentata dal Puf, il Partito dell’Uguaglianza e della Fratellanza, sorto dal nulla sulle fondamenta di movimenti di base ed associazionismo. Ovviamente si sprecavano le facili ironie sulla sua scarsa consistenza. “Puf… evaporeranno come altre formazioni alternative del passato” era il motto a loro riservato da media e opinione pubblica.

L’altra grande novità era rappresentata dal periodo in cui si sarebbe votato, un po’ anticipato rispetto agli standard primaverili. Quell’inverno ci avevo messo del proprio ad accentuare tale seconda anomalia, in quanto da inizio anno si era presentato con un volto antico, tanto da assimilarlo ai grandi inverni del passato. In particolare a fine gennaio si era presentato il primo episodio di burian, con i venti gelidi che spirando dalle steppe russe avevano invaso l’intera Europa, lasciando ai margini del freddo solo Portogallo, Irlanda e coste norvegesi. Ci furono disagi, danni e vittime un po’ in tutti gli stati europei. Le irruzioni da nord-est si susseguirono per un paio di settimane con neve e gelo continui, cui seguì una fase centrale di febbraio all’insegna di una rimonta anticiclonica che portò nebbioni diffusi su tutte le valli e le pianure, a causa del freddo cumulatosi nei bassi strati.

Lo stivale da nord a sud era però colmo di neve pregressa che non si scioglieva mai. La nuova perturbazione arrivò da nord-ovest il primo giorno di marzo, causa una lieve mutazione circolatoria ma era stata preceduta da un rafforzamento dei venti di Grecale che avevano riportato l’Italia ampiamente sottozero. L’impatto con tale cuscinetto freddo fu devastante, veri e propri fortunali di neve si abbatterono ovunque dalle coste liguri a quelle del Cilento, dalle valli prealpine ai monti della Calabria e della Sicilia ma la neve cominciò a cadere copiosa persino su Cagliari, Brindisi e Palermo. Sopra i 200 m.s.m. la situazione era al collasso. Tutta la viabilità ferroviaria era bloccata ma anche quella autostradale soffriva chiusure continue di tratte, per centinaia di chilometri. La corrente elettrica non era presente in moltissimi centri collinari e montani che erano completamente isolati. Approvvigionamenti idrici e di gas metano in tilt a causa delle migliaia di tubature scoppiate per il gelo.

Insomma le prefetture e la Protezione civile con l’ausilio dell’esercito e dei volontari riuscivano a malapena a fronteggiare le difficoltà del maltempo e dunque fu quasi un miracolo che si riuscissero ad allestire i seggi, sebbene si decise di accorparne moltissimi nei centri abitati più attrezzati. Del resto le elezioni non potevano arrestarsi e dunque si trattava solo di capire come fare ad assicurare il voto agli elettori. Un decreto d’urgenza della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli Interni sancì il prolungamento delle votazioni nella mattinata del lunedì e sino alle ore 14. Occorreva sperare però che la gente riuscisse a raggiungere le sezioni per non incorrere nella invalidazione del voto. Ma il burian e le precipitazioni nevose non davano tregua.

La fatidica domenica la situazione complessiva vedeva una nazione in ginocchio sommersa dalla neve e a quel punto l’emergenza del tempo avverso prevalse decisamente sullo svolgimento delle elezioni. Solo nelle città più grandi dell’estremo sud e nelle zone costiere della Sicilia e della Sardegna la regolarità degli afflussi riusciva ad essere garantita. I sondaggi, cui non si prestava più molta attenzione stante il ridursi del campione elettorale, avevano azzardato due settimane prima una partecipazione attorno al 42-44% ma certo non si era tenuto in considerazione il fattore meteorologico.

La giostra elettorale si interruppe comunque il lunedì dopo pranzo e tutti stavano col fiato sospeso per sapere se l’intenso maltempo avesse permesso o meno di recare alle urne più dell’indispensabile 25%. I risultati furono fragorosi. Quanto all’affluenza, nonostante le avversità, era assodato già dalle 19 della sera precedente che il quorum sarebbe stato ampiamente superato. A quell’ora della domenica aveva infatti già votato il 23% della popolazione. Con l’addolcirsi delle temperature e il lavoro alacremente sostenuto durante la notte dai vari corpi emergenziali dello Stato, favoriti dalla chiusura anche di molte attività lavorative, gli italiani si riversarono in massa ai seggi, chi in slittino, chi affondando gli stivali per chilometri sotto la tormenta, chi allestendo car sharing su potenti Suv 4X4 che dalle frazioni giungevano ai comuni più grandi.

Insomma il dato finale dei partecipanti alla tornata elettorale fu fra i più alti dell’epoca: 54% degli aventi diritto. Ma soprattutto la sorpresa riguardò le scelte: un rumoroso schiaffo alla politica rappresentato dal 31% di schede bianche e nulle e dalla vittoria relativa del Puf che superò tutti gli altri partiti in lizza raggiungendo la ragguardevole quota del 25,7%. Ai partiti tradizionali rimase un misero 40% che si spartirono in particolare due delle tre forze principali di centro.

La sera stessa inevitabilmente il presidente della Repubblica convocò il portavoce del Puf per chiedere di presentare le proprie proposte di governo. E da quel giorno la storia dell’Italia e della Confederazione mediterranea cambiò verso.

Beh…ma hai dormito sul divano?” le chiese la moglie con la bocca impastata dal sonno. Solo in quel momento Ulisse si rese conto di aver viaggiato con la mente dalla sera precedente. Lunedì mattina il mercato del pesce di San Benedetto del Tronto dove egli coordinava la logistica era chiuso e poteva concedersi una ripresa “lenta” della settimana lavorativa. Si era quindi predisposto a seguire sino a tarda notte gli speciali sulle elezioni ma la gita in barca della domenica elettorale lo aveva schiantato fisicamente e la monotonia della partita Verona-Cagliari, posticipo serale trasmesso su una tv a pagamento, gli aveva dato il colpo di grazia. “Sì penso di essermi addormentato nell’intervallo della partita”, rispose. “Ma i risultati?”, aggiunse, “…non quelli della partita”. “ Hai saputo qualcosa tu?”, chiese alla moglie, la quale nel frattempo si preparava per raggiungere l’ospedale dove lavorava da infermiera.

No”, disse lei. “Accendi la tv, lo sai che il timer la spegne dopo un po’ che nessuno manipola il telecomando”.

Ulisse ancora frastornato ripetè quei gesti automatici quotidiani e lo speaker proprio in quell’istante riepilogava i risultati: l’affluenza alle urne superava il 65%, e del resto non vi era alcun quorum da valicare e mancavano una ventina di anni al 2040, i principali partiti del centro-destra sommavano il 53% dei voti e avrebbero costituito una maggioranza solida, potendo confidare anche su un 12% complessivo, ottenuto dalle due formazioni di destra, nazionaliste e anti-immigrazione. Insomma niente che Ulisse non potesse immaginare e temere da settimane e con lui tutti coloro che non avevano perso la speranza in un mondo migliore. Spense il televisore.

Non rimaneva che aprire gli scuri della finestra per osservare che tempo facesse. Un pallido sole di precoce primavera rifletteva l’opacità di una società sempre più chiusa in sé stessa. “Non basteranno dieci “burianate” nei prossimi inverni per sferzare e rivoluzionare tali assopite coscienze”, riflettè Ulisse, “e il 2022 non è troppo lontano”.

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