Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 171 - Autunno 2022 | 0 commenti

La sindrome del “tutto bene”

Il mio vecchio editore (non vecchio d’età benché non giovane, ma vecchio nel senso “di qualche edizione fa”) non è solo il mio vecchio editore. È una persona che mi apprezza e che mi vuole bene. Si noti che, mentre l’affetto non può prescindere dalla stima, non può essere viceversa; e io mi crogiolo in tutto ciò. Il mio vecchio editore è un amico, un consigliere, un ottimo lavoratore. Chi legge può pensare, cos’è, deve pubblicare qualcosa di nuovo e sta cercando un modo per leccargli il fondoschiena?

Non devo pubblicare niente di nuovo con il mio editore. Il discorso è che tempo fa mi è capitato di trovarmi a una fiera dell’editoria. Sì che mi volevo rilassare, e invece ne ho sentite di tutti i colori. Gente che passava davanti allo stand di Eleuthera e diceva che erano comunisti (!), gente che passava davanti ai tavoli di Fazi e diceva che quell’autrice l’aveva vista in televisione, gente che passava davanti a Minimum Fax disinteressandosi dei libri di Bernard Malamud ma sapendo tutto della festa della sera precedente. In quattro ore non ho sentito nessuno parlare di letteratura. E ho cominciato a chiedermi di chi fosse la colpa. Allora sono uscito per prendere una boccata d’aria, e ho fatto un conto approssimativo: delle persone che se ne andavano, non più di uno su quattro aveva un sacchetto con dei libri dentro. Alla faccia della grande ripresa del mercato dell’editoria.

Passeggiando con il mio editore, che oltre ad essere un uomo di commercio è un uomo di cultura – stranezza in questo settore – succede che ce ne andiamo all’area riservata agli operatori: offrono da bere. Discutiamo del fatto che c’è stato un convegno in fiera: alcuni suoi colleghi vorrebbero fare le scarpe alla loro associazione di categoria per avere certi benefici che altrimenti non potrebbero ottenere (e lì parla lui, e mi spiega determinate cose che probabilmente annoierebbero il lettore, c’est-à-dire, non si possono ripetere); poi prendiamo a parlare del fatto che i librai lamentano che ci sono poche librerie. Quante risate, poche librerie! Tolti i supermercati del libro, va da sé. E sono librerie anche quelle, anche se i commessi son capaci di dirti che un libro è esaurito solo perché non ce l’hanno; sono librerie perché sono le poche che vendono uno straccio di libro. Poi ci sono le tante librerie di quartiere, che spesso tirano avanti con lo scolastico; a volte perché non si può fare altrimenti, a volte perché sono incapaci. Ecco quindi le librerie che si possono definire tali perché dentro c’è chi sa lavorare: chi è gentile, chi ti segue, chi ti consiglia. Chi fa il libraio, insomma. Io ne conosco alcune, dove vivo. Per il resto, potete entrare in librerie carine, ben messe, fornite e tutto, e nessuno vi chiederà nemmeno se avete bisogno di qualcosa. Sapete perché? Perché non sanno fare il loro lavoro. Ha ragione il mio editore: un libraio è un commerciante che non sa vendere. Se io vado dal pesciarolo di fiducia, lui mi consiglia il pesce migliore, o quello che sa che mi può piacere di più; lo stesso in qualsiasi negozio o bottega. In libreria no. E allora io dico: accompagnatemi alle bancarelle dei libri usati. Non ci rompe le scatole nessuno, non si ha bisogno del libraio. Smettiamo di pubblicare libri nuovi e facciamo con quel che abbiamo.

In questo paese ci sono tremila case editrici, che perlopiù servono ai furbetti che le dirigono per scaricare le cene con le ganze. Poi ci sono case editrici che si comprano altre case editrici. Poi ci sono case editrici che cercano di fare il loro lavoro. Molti grandi e piccoli editori pubblicano persone che non sanno mettere assieme due parole in italiano. Questo è offensivo nei confronti degli scrittori; e bisognerebbe porvi un limite. Invece no, siccome gli incassi devono crescere si continuano a pubblicare porcate che ingrassano un sistema già saturo. Gli italiani non sanno (né s’interessano de) il fatto che ogni mese tonnellate di volumi finiscono al macero perché sono un costo e non un guadagno. Poi però si va alla fiera del libro, gli organizzatori dicono che va sempre meglio e tutti vivono felici e contenti. Va tutto bene, signori: bisogna essere ottimisti, perché non importano i libri bensì gli incassi.

Per tirare le somme, credo che non sia difficile intuire la ragione per cui scrivo con tanta insistenza il mio editore: perché ne vado fiero. E scusate se parlo in questo modo delle librerie; ma se Giangiacomo Feltrinelli fosse vivo e vedesse i muri dei suoi locali tappezzati dei libri di Moccia e dei dvd di Vanzina e dei cd del programma della De Filippi, lo sapete dove metterebbe quell’esplosivo che si dice l’abbia ucciso? Altro che su un traliccio. E perdonate anche se me la prendo con fiere del libro che probabilmente avvicinano qualcuno alla letteratura e allo scambio di idee, senza muovere cultura ma solo denaro… salvo poi mandare comunicati stampa in cui si dice che la fiera è stato un grande successo, anche quest’anno, sempre di più.

Sempre di più: viva l’evoluzione senza fine, allora, viva la gente sempre più sorridente, viva il principio capitalista per cui si deve sempre crescere, se no si muore. Per fortuna siamo tutti alti due metri e dieci, e continuiamo a crescere.

18/9/2022

 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>