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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 39 - 16 Maggio 2008 | 7 commenti

Vi siete mai chiesti che cosa chiedervi davanti a un opera d'arte?

Vi siete mai chiesti che cosa chiedervi davanti a un opera d'arte?

Quando gli amici dell'Arengo ci hanno chiesto di scrivere una sezione dedicata all'“arte”, termine dal quale possono scaturire infiniti e multiformi percorsi, abbiamo pensato immediatamente a come restringere il campo d'azione. Lontani dall'intraprendere né ora né mai qualsiasi discorso a proposito di che cosa sia arte e che cosa non lo sia, vogliamo iniziare, in questo primo numero, ponendovi una semplice domanda, che può sembrare un gioco di parole: “vi siete mai chiesti che cosa chiedervi davanti a un opera d'arte?”.
Nella maggior parte dei casi ci capita di esprimere immediatamente un giudizio di gusto come: “è bello quel dipinto” o “non mi piace quella scultura in marmo”. Questo accade spesso ancora prima di leggere, ove ci fosse, la didascalia col nome dell'autore. Al momento dell'impatto l'opera è qualcosa che ci conquista o ci perde, un colpo di fulmine o un 'due di picche'. Altresì ci trasmette subito molte informazioni: rivela soprattutto il suo aspetto puramente formale e queste forme, “belle” o “brutte” che siano secondo la nostra percezione, muovono i sentimenti, in un senso o nell'altro. Oltre a questo livello di lettura, che possiamo dire 'superficiale' e legato all'emozione, ne esistono altri attraverso i quali si tenta di indagare la natura profonda dell'opera. Così per comprenderne appieno l'identità è necessario conoscere e capire il contesto nel quale è stata prodotta. Questo significa, ad esempio, ricordare che è in primo luogo un oggetto, che è stata fatta da qualcuno per qualcun altro in un certo momento storico e culturale; che poteva avere una funzione determinata, che rappresenta un soggetto significativo per il committente e ancora, che era destinata ad un luogo preciso. E' interessante ricordare infatti che i dipinti e le sculture conservate oggi all'interno di musei o pinacoteche provengono nella stragrande maggioranza dei casi da altri luoghi. Capita spesso di osservare vicini due oggetti un tempo lontani: a poca distanza l'una dall'altro, possiamo trovare ad esempio una Madonna in terracotta del Quattrocento ed un ritratto seicentesco di un aristocratico racchiuso da un'esuberante cornice dorata. Non dobbiamo dimenticare che quella Madonna, posta su un piedistallo minimalista e ben illuminata da un faretto, potrebbe essere stata celata per alcuni secoli in un monastero di clausura; e che quel ritratto, oggi scrutato quotidianamente da centinaia di persone, era un tempo vanto privato dell'effigiato. Quella scultura e quel quadro sono in vita da secoli; hanno una storia personale a volte pluricentenaria. Avete mai pensato quanti uomini si sono trovati di fronte? Avete mai pensato quante preghiere sono state rivolte alla Madonna in terracotta o quante persone hanno incrociato lo sguardo fiero del nobiluomo del ritratto?
In questa direzione, possiamo trovare spunti assai interessanti in un libro di Federico Zeri – uno tra i più grandi storici dell'arte italiani – intitolato Dietro l'immagine. Conversazioni sull'arte di leggere l'arte. (Milano, 1987): questa preziosa raccolta di conversazioni diventa anche il primo consiglio bibliografico, ottima lettura per profani e conoscitori. Desideriamo qui riportare le riflessioni di Zeri a proposito di un meraviglioso quadro – oggi alla National Gallery di Londra – eseguito dal Agnolo di Cosimo detto Bronzino (Firenze, 1503-1572). Allievo del Pontormo ed ultimo esponente dei pittori manieristi fiorentini, diventa a partire dal 1539 l'artista ufficiale della famiglia dei Medici. Cosa chiederci davanti a questo quadro. Per prima cosa dobbiamo conoscere il contesto storico nel quale venne prodotto. Chi lo commissionò a Bronzino? Perché gli venne commissionato? A chi era destinato? Ecco le risposte. Venne richiesto al Bronzino dal duca, poi granduca, Cosimo I de' Medici che lo inviò in dono al re di Francia, Francesco I. Le ragioni di questo omaggio furono di natura politica. Il granduca infatti si trovava in una situazione internazionale molto difficile: c'era il rischio di vedere il ducato di Toscana annesso da Carlo V alla Spagna, com'era già accaduto al ducato di Milano. Per ragioni politiche, quindi Cosimo cercava da una parte di accattivarsi la Francia, inviando doni (come appunto il nostro quadro) e dall'altra, la Spagna, sposando la figlia del vicerè Pietro da Toledo, Eleonora. Inoltre per tenersi buono il potere pontificio consegnò a Pio V uno dei suoi amici più intimi, Pietro Carnesecchi, finito al rogo con l'accusa di eresia. Dunque, storicamente, l'opera fu fatta eseguire da Cosimo I a scopo squisitamente diplomatico. Detto questo, dobbiamo adesso chiederci cosa raffigura.

Agnolo di Cosimo detto Bronzino (Firenze 1503-1572)
Allegoria con Venere e Cupido Olio su tavola, 146.5 x 116.8 cm Londra, National Gallery
Cosa vediamo dentro la cornice? Al centro, una venere nuda abbracciata ad Amore in una posizione al limite dell'osceno; in secondo piano a destra una figura con la mani invertite, la mano destra al posto della sinistra e in quest'ultima un favo di miele. La parte inferiore della donna ha le sembianze di un mostro, metà rettile, metà leone: essa rappresenta l'Inganno. Il soggetto è dunque un'allegoria dell'amore sensuale, il quale, favorito dall'Inganno, è accompagnato dalla Gioia, rappresentata dal puttino in procinto di spargere le rose sulla destra. Nel fondo a sinistra, tuttavia, sta per arrivare la Disperazione, identificabile nella donna in atto di stringersi la testa tra le mani. In alto a destra, il vecchio alato che sta per coprire tutto con la tenda scura è il Tempo, che spegnerà ogni passione (la clessidra è il tempo che scorre!). Altro particolare interessante, sfuggito a molti, ma non a Zeri, è l'inganno che si sta consumando proprio tra Venere ed Amore: quest'ultimo le sta sottraendo il diadema di perle, ella a sua volta sta cercando di portare via le frecce dalla sua faretra .
Il quadro è quindi una sovrapposizione infinita di temi simbolici e allegorici. Zeri, chiedendosi quale società abbia potuto produrre un dipinto simile, afferma che poteva essere soltanto “l'elite raffinatissima di una società profondamente colta e letterata”. E aggiunge: “che nessun pittore può avere inventato un soggetto del genere. Cosimo I, certamente, si era rivolto a un letterato e ha poi fornito al Bronzino il soggetto da dipingere” . Inoltre: “ che si tratti di un'opera prodotta da e per una èlite aristocratica è indicato anche dallo stile. Uno stile idealistico, freddo e bloccato. Il corpo di Venere non di carne, ma di marmo. Le sue mani hanno qualcosa che ricorda l'avorio…insomma, come diceva Roberto Longhi, è «un idealismo plastico, superbamente glaciale»”. In conclusione tuttavia Zeri chiosa così:“ c'è qualcosa di alieno in questo quadro, qualcosa di occulto, che noi non riusciamo più a percepire nella sua integrità”. Non ci resta che aggiungere….arrivederci al prossimo numero!

7 Commenti

  1. La concezione d'arte non parte da quello che uno si domanda di fronte ad un dipinto, o a una scultura, bensì da ciò che si recepisce dall'iconografia che l'opera stessa trasmette.questo significa che l'opera d'arte non può essere interpretata per sè stessa, ma per quello che tutti gli attributi, i simboli, le piccole macchie di colore, indicano. se si legge ciò che panofsky ha scritto, l'iconografia conta tre livelli interpretativi, forse non i soli, ma per questo ciò che scrivi non ha senso!

  2. Chi scrive commenti è pregato di fermarsi altrimenti in generale è buona norma che essi vengano cancellati

  3. è un peccatoc he chi commenti non si firmi..quello che scive “anonimo” è per me non molto chiaro, forse perchè molto condensato, forse perchè fa riferimento a pesone a me sconosciute senza spiegare sufficientemente..credo sia bello avere punti di vista diversi, e sarebbe bello se questo anonimo scrivesse un articolo, invece di un commento, per spiegare meglio cosa intende dire, magari facendo anche un riferimento iconografico che possa aiutare i non esperti (proprio come han fatto mote intelligentemente Pietro e Matteo)

  4. non condivido assolutamente quello che scrive l'anonimo e mi sembra che il suo commento confermi esattamente quello che scrivono Pietro e Matteo..egli sostiene che la concezione parte da ciò che si recepisce dall'iconografia che l'opera trasmette..è quinid importante interrogarsi sul significato delle scelte artistiche, i simboli, colori. è quindi normale, dvanti a un quadro, porsi delle domande: che significato ha un agnello sanguinante? ed i colori scelti da mondrian? forse la concezione dell'arte non parte da quello che uno si domanda (come scrive l'anonimo), ma senza domanda non si arriverà mai ad alcuna concezione dell'arte..quindi caro anonimo, cosa vuoi dire con la tua frase??

  5. In riferimento al commento anonimo, mi permetto di riportare quel che direbbe Voltaire…”ci sono persone che sanno tutto, e purtroppo è tutto quello che sanno..” faresti meglio ad avere l'umiltà di apprezzare quanto scritto dagli autori, che ci regalano spiegazioni tutt'altro che scontate in un linguaggio semplice e che trasmettono una inconfutabile passione per l'arte.

  6. sabrina,
    domani esce l'articolo che spiega ciò che ho voluto dire con il mio commento!
    non credo di sapere tutto, ho una convinzione in merito ad un argomento, fatto che non intacca la mia umiltà!

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