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Scritto da nel Internazionale, Numero 112 - 1 Agosto 2014 | 0 commenti

La minaccia del Califfo

La minaccia del Califfo

Benjamin Netanyahu sta sferrando quello che vorrebbe essere l’attacco finale contro Hamas e i suoi sempre più deboli leader, con i tipici spregievoli effetti collaterali di una guerra. L’obiettivo israeliano è di eliminare chi detiene il potere a Gaza. La situazione geopolitica è però radicalmente mutata dai tempi di “Piombo fuso”: secondo molti osservatori quello che sta accadendo nella Striscia è un diversivo – o meglio uno dei tanti fronti in cui è impegnato l’integralismo islamico – che vede in Abu Bakr al Baghdadi, neo Califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), l’abile burattinaio.

Al Baghdadi è il nuovo Osama Bin Laden, tra i terroristi più ricercati dal Governo statunitense. Il sogno di un Medio Oriente islamico forte e  privo di confini è l’obiettivo del Califfo: unire insieme Israele, Palestina, Giordania, Libano, Kwait, Cipro e parte della Turchia all’Iraq e Siria (già facenti parte dello stato islamico autoproclamato); il tutto raggiungibile attraverso la santa alleanza tra sciiti e sunniti,  l’imposizione della shari’a e la conquista di Roma.

Che il disegno di Al Baghdadi sia inquietante è un dato di fatto: la stessa Al Qaeda espulse il Califfo a causa di un approccio al terrorismo “troppo estremo”[1].

La minaccia dell’ISIL non è squisitamente ideologica ma soprattuto militare e politica: in Siria controlla una provincia nel nord, parte dei confini col l’Iraq e alcune zone della provincia di Aleppo. In Iraq ha conquistato Mosul e le aree di Ninive, Diyala e Kirkuk fino ad arrivare alle porte di Baghdad.

Si stanno quindi aprendo molteplici fronti di guerra che coinvolgono l’intera regione: il prossimo obiettivo di Al Baghdadi è la  fragile Giordania, con Re Abdallah più preoccupato che mai dall’avanzata jihadista[2].

Altro soggetto in fibrillazione e la Turchia, che molto ha “lavorato” nella regione negi ultimi anni  e che vede nella minaccia da parte dell’ISIL al Kurdistan iracheno un elemento allarmante da cui possono derivare effetti destabilizzanti anche per la sicurezza interna.

 


 

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