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Scritto da nel Numero 2 - 16 Settembre 2006, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Il piccolo O

Proprio in quel mentre il signor Q si svegliò. Non di soprassalto ma naturalmente aprì gli occhi, come poche e fortunate volte capita. Prima di aprirli del tutto la serena naturalezza del risveglio fu incrinata da un dubbio: quegli occhi, caspita, che occhi. Le sue mani si aprirono e le dita rincorsero ai lati del corpo il sogno appena terminato. L’adorato oggetto del sogno, ahimè, non era lì. Come ai bambini capita, il letto era vuoto come la sera prima.

Tuttavia non era davvero così vuoto e non era proprio del tutto identico alla sera prima. Anche se nulla apparentemente era diverso, quella mattina era cambiato tutto. Era lui, ancora una volta, ad essere cambiato. Non era più quello di ieri. Adesso aveva visto la fine, lo scopo, la meta. Adesso toccava a lui aprire gli occhi, alzarsi, e cominciare dall’inizio.

Si stiracchiò, sgranchì le proprie gambette e si eresse in piedi.

Dal sogno, nella strada che dal giaciglio lo portava all’acqua corrente, il signor Q fu preso di soprassalto da un ricordo.

Quando era bambino, il piccolo O giocava spesso al limitare del bosco.

A dire la verità, giocava un po’ dappertutto. Tra le onde degli Oceani e dei Sette Mari veleggiava come un pirata a caccia di avventure, sulle montagne più alte ed impervie si arrampicava verso il cielo e quando la terra finiva allora spiccava un salto e si ritrovava fra le nuvole, a volare come un mitologico uccello che non volendo fermarsi volava in su, sempre più su, fino alla Luna e ai Pianeti, al Sole e alle Stelle, fino all’origine del Big Bang. E non si scottava mai le ali, perché il piccolo O aveva fatto amicizia con tutta quell’immensità.

A quel punto gli piaceva prendere un bel respiro e lanciarsi giù. In picchiata, poi quando proprio mancava il fiato planava un po’, e poi di nuovo giù, in picchiata, fin dentro alle viscere della Terra.

Tornava sempre lì, dopo aver viaggiato dappertutto. Tornava bel bello al limitare del bosco, nel cortile dietro casa propria. Quella dove era nato, tra le amorevoli braccia di mamma e papà. Che gli avevano donato Tutta la Vita. Con la quale giocava davvero volentieri.

In quel bosco dietro casa, però, non si era mai avventurato. Sarà che la curiosità per i luoghi più lontani lo allontanava spesso da casa, sarà che la mamma gli aveva detto di non farlo perché era pericoloso. C’erano le streghe, secondo lei, in quel bosco. E le streghe i bambini se li mangiano, li ficcano in un pentolone e gnam. Niente più bambino.

Il piccolo O, adesso però, si sentiva grande. Non voleva più avere paura, voleva avere ragione. Era sicuro, voleva cominciare da lì.

Così un bel giorno partì, in compagnia del Sole che lo accompagnava attraverso le frasche ed i rami degli alberi. Il piccolo O gli rispose con un cenno, come era solito fare, e dopodiché si stropicciò gli occhi per abituarsi a quella nuova luce. Non fu immediato ambientarsi. Dapprima si trovò per un attimo spaesato, in quel fitto intreccio di tronchi e di rami, di fianco a quello scrosciante ruscello, in mezzo a quel terriccio rosso e scosceso.

Mentre pian piano prendeva coscienza di quel nuovo luogo cominciò ad accorgersi ed a notare i dettagli: quella buca lì sulla sinistra dove un piccolo animale con la coda si nascondeva, quei rami in mezzo al sentiero che ostruivano il passaggio verso quello che sembrava un sentierino, quel buffo verso mai sentito che proveniva da quello strano animale che volteggiava in cima ad un albero.

Per il piccolo O, abituato agli infiniti spazi della Fantasia, era una novità questo problema del ‘dove mettere i piedi’. Non se lo era mai posto.

Fu proprio in quell’istante che sentì un fremito. Si ricordò del perché fosse entrato lì dentro.

Le sue gambette erano lì conficcate nei piedi che premevano su quell’umido terriccio e volevano andare, volevano giocare anche loro. Si trattava di spostare quei rami, di risciacquarsi nel ruscello e di imboccare quel sentierino là. Sarebbe stato divertente, non c’erano dubbi. E poi se non lo avessero fatto loro, quel bimbo e quelle gambette, non lo avrebbe fatto nessun’altro, ed anche su questo non c’erano dubbi. Così quello che sembrava l’invalicabile muro eretto da Mamma Natura era ora diventato un gioco, un grande strano e nuovo gioco.

Era ora di andare in fondo al bosco, era ora di andare ad incontrare le streghe. Era ora, per il piccolo O, di essere davvero se stesso. Finalmente, era ora.

Buon viaggio, piccolo O, e buona fortuna.

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