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Scritto da nel Numero 3 - 1 Ottobre 2006, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Caccia alle streghe

Il piccolo O stava camminando per il bosco ormai da qualche ora. Aveva visto molti animali, spostato tanti rami, guadato qualche ruscello. Le sue scarpe erano ormai infangate mentre da lassù il Sole continuava a seguirlo con quello sguardo tipico delle persone più mature che guardano un giovane alle prime armi. Con bonarietà e discrezione, dunque, si lasciò coprire dalla prima nuvoletta passeggera. Lo fece con tale lievità e dolcezza che il piccolo O non se ne accorse neanche, indaffarato com'era a scavalcare quei rovi senza inciamparsi. Il sudore gli solcava la fronte ed il cuore gli batteva sempre più forte mentre il respiro affannoso si faceva sempre più profondo e rapido.

Un assordante rombo di tuono e l'accecante brillare di un fulmine gli fecero scorrere un gelido brivido lungo la schiena: dopo pochi istanti si ritrovò sotto un forte diluvio, infradiciato. Alzò gli occhi al cielo e vide che il suo amico Sole non c'era più. Per un attimo fu colto da un certo senso di paura, era solo ed era in mezzo al bosco, stanco e bagnato. Che fare dunque? Andare avanti, tornare indietro? Il piccolo O sentiva lo sconforto crescere dentro di sé ma intuì che era meglio non abbandonarsi in preda al panico. Si guardò intorno nella sempre più scura penombra del sottobosco ed intravide uno spuntone di roccia sotto il quale si erano accucciati due buffi animaletti con la lunga coda ed i dentoni. Spiccò un balzo per raggiungere la compagnia, ma non appena si ritrovò al riparo della pioggia si accorse che con la sua foga li aveva fatti scappare.

Stette così, solo, ad ascoltare il silenzioso rumore dell'acqua. Si sedette su una scomoda e umida pietra sporgente dal terreno e rimase così rapito da quell'ambiente mai visto.

Si rialzò solo quando sentì forte e chiaro il brivido di paura che per un attimo aveva provato prima: le streghe. Erano tutte lì, intorno a lui, e gli avevano legato le caviglie e imbavagliato la bocca. Il silenzioso scrosciare del ruscello era ormai solo un piacevole rumore lontano, sostituito adesso dallo sghignazzanti risa di quelle megere. Nasi adunco e bubbosi lo annusavano, gambe gonfie e storte lo trasportavano, braccia nodose e appuntite lo reggevano mentre mani grinzose e sporche lo ghermivano. Occhi strabici lo guatavano, bocche rumorose e stridule si preparavano a sbranarlo mentre la loro puzzolente bava gli scivolava sulla testa e sul corpo.

Il piccolo O sarebbe finito là, in mezzo alla radura, bollito dentro all'acqua fumante di quel pentolone. La mamma lo aveva avvisato: gnam gnam, e il bambino non c'è più. La sua curiosità lo aveva spinto oltre.

Le streghe innalzavano canti tribali e danzanti, rinforzavano il fuoco sotto la pentola con la legna del bosco mentre condivano quel brodo di bambino con le magiche erbe del bosco: il succulento banchetto era quasi pronto.

Lo calarono a testa in giù e mentre il vapore gli penetrava dalle narici fin dentro ai polmoni, vide i suoi occhi riflessi nell'acqua bollente. Fu un brivido caldo, quando si ritrovò immerso in quel calore irresistibile che lo pervase in tutto il corpo. Il brivido più forte mai provato, venuto da chissà dove gli girò tutto intorno alla O. Non sapeva da dove uscire, girava e girava sempre più forte, e più girava più lo prendeva allo stomaco e al cuore, alle braccia, alle gambe ed alla testa. Cercò di uscire dalla bocca ma quel grido fu muto ed immobile.

Un raggio di Sole entrò in quel pentolone. Una gambetta del piccolo O, tremando, scontrò contro il fondo del pentolone. Strinse i denti, pian piano, e scosse la testa che si sporse fuori dall'acqua.

Dal cielo un paterno sorriso illuminava quella dolce pioggerellina che gli uccellini salutavano canticchiando. Intorno al pentolone vide queste fanciulle, non si era accorto che fossero nude. Si stavano pettinando, l'una con l'altra, mentre la pioggerellina danzava loro intorno rinfrescandole. Giocavano tra di loro come se fossero bambole e si specchiavano nell'arcobaleno come se volessero chiedergli chi fosse la più bella tra le Regine.

Di fronte a quella pioggerellina che ingentiliva l'ambiente ed a quel Sole ammiccante, il piccolo O era fermo immobile, come se fosse legato mani e piedi, nudo come mamma l'aveva fatto, bagnato come un pulcino, con la bocca e gli occhi spalancati proprio a forma di O.

Non aveva più paura ed il suo volto si sciolse serenamente in un sorriso. La mamma aveva ragione, le streghe c'erano davvero, e lui aveva avuto coraggio, le aveva trovate.

Volse la testa dolcemente verso l'arcobaleno e lo seguì con lo sguardo fino ad incrociare le scene che aveva visto prima con il groppo in gola. Non si era accorto della sensualità di quello strabismo di Venere, dell'importanza di quel naso, della musicalità di quelle voci, della grazia di quelle forme: già, il primo senso che aveva percepito le streghe era lo sguardo di chi mai aveva avuto il coraggio di incontrarle davvero.

Distolse lo sguardo da quelle fanciulle che, vistolo desto, gli si facevano incontro sorridenti e giocose. Continuò a seguire l'arcobaleno e si accorse con stupore che gli si avvicinava ancora e ancora e finiva proprio là, in fondo a quel pentolone. Si ritrovò di nuovo accovacciato su se stesso a cercare l'inizio e la fine di quei colori. Erano proprio lì, in fondo a quel pentolone, lì dove la sua gambetta si era impuntata ed aveva eretto il suo corpo oltre la coltre dell'acqua.

Era lì, che stava il Tesoro. In quella pentola colma d'acqua il piccolo O aveva trovato il suo Tesoro. Evviva, missione compiuta.

Sentì un accogliente abbraccio intorno al cuore, i suoi muscoli si sciolsero ed un sereno sorriso gli si schiarì sul volto.

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