Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 3 - 1 Ottobre 2006 | 0 commenti

Diffusione tecnologica, parte seconda: “carbon lock-in”

Se è vero che il libero mercato, quando lasciato a se stesso, rischia di deragliare, in questo caso vincolando produttori e consumatori ad uno standard tecnologico destinato a divenire con il tempo obsoleto, e' auspicabile un intervento atto a rimettere i binari in carreggiata.

E lo Stato è quell' istituzione in grado di cambiare le regole del gioco a cui le imprese adatteranno le proprie strategie. Attraverso un sistema si incentivi, lo Stato può promuovere il passaggio a tecnologie più efficienti qualora tale passaggio non avvenga in maniera spontanea. Si tratta di facilitare il coordinamento nel mercato, di dare una spintarella che ci aiuti a fare questo primo passo tutti insieme.

Scusate una cosa, arrivati a questo punto vi siete chiesti cosa c'entrasse l'articolo precedente con la sezione “Energia ed Ambiente”? Se arrivati a questo punto non vi siete ancora posti questa domanda, male.

Negli ultimi anni una forte corrente di analisi economica “istituzionalista” ritiene che problematiche ambientali ed energetiche siano affette dalla sindrome del lock-in.

Dopo anni di dibattiti, il 2006 verrà ricordato tra le altre cose come l'anno in cui la comunità scientifica non presenta più alcuna forma di dissenso autorevole riguardo la convinzione che il cambiamento climatico sia stato amplificato dall'attività umana, ed in particolare dalla combustione di fonti fossili. Per mitigare il cambiamento climatico e' quindi necessario diminuire la nostra dipendenza dai combustibili fossili o, in alternativa, sviluppare tecnologie capaci di ridurre le attuali emissioni di gas serra a parità di mix di combustibile utilizzato, come ad esempio promette lo sequestro di anidride carbonica sotto terra o in fondo agli oceani.

La seconda opzione richiede tuttavia ingenti investimenti nella Ricerca e Sviluppo e lunghi tempi d'implementazione; per ottenere dei risultati concreti fin d subito e' opportuno considerare le fonti rinnovabili con più attenzione.

Allo stato naturale delle cose le fonti rinnovabili non sono ancora un'alternativa in grado di sostituire quelle fossili, perché non garantiscono la stessa prestazione, efficienza e continuità nel servizio. Tuttavia costituiscono un'importante risorsa complementare, da affiancare cioè all'utilizzo dei combustibili fossili, per diminuirne progressivamente la dipendenza.

Diversi studi presentano tecnologie che, nel loro piccolo, potrebbero non solo diminuire l'emissione di gas serra, ma anche ridurre i costi di produzione, generando congiuntamente benefici economici ed ambientali (le cosiddette “win-win technology”). Ammesso che tali tecnologie esistano[1], perché non sono ampiamente diffuse?

Il nostro sistema energetico, gli agenti che vi partecipano e le politiche istituzionali che lo regolano, girano tutte intorno all'utilizzo di combustibili fossili. Se teniamo conto dei costi derivanti dalla rottura del carbon lock-in e degli attriti causati da diverse classi di interesse, forse l'utilizzo di queste tecnologie potrebbe non risultare poi così conveniente[2].

Come nel caso delle lingue parlate[3], se il vantaggio derivante dal parlare una lingua aumenta con il numero di persone che già la parlano, così il costo derivante dall'utilizzo di una particolare tecnologia in un sistema a rete tenderà ad essere tanto più grande quanto minore è il numero di imprese che la hanno in dotazione.

Eppure esistono paesi dove le fonti rinnovabili stanno acquisendo un ruolo strategico sempre più fondamentale nel panorama energetico. In Germania per esempio, dopo più dell'8% dell'energia nazionale avviene a mezzo di fonti pulite La Germania infatti nel corso degli ultimi vent'anni ha saputo avviare un processo di ristrutturazione del proprio parco industriale che la ha portata a divenire uno dei leader mondiali nella produzione di energia eolica.

Perché la Germania e' riuscita a promuovere la diffusione di tecnologie pulite meglio di altri, ma soprattutto perché gli altri paesi non sembrano seguire appieno il modello tedesco? Forse che in Germania tiri più forte il vento?


[1] Per il momento questa rimane una semplice ipotesi. Vedi anche:
- Brown, M., Levine, M., (Eds.). 1997. Scenarios of U.S. Carbon Reductions: Potential Impacts of Energy Technologies by 2010 and Beyond, Office of Energy Efficiency & Renewable Energy, USDOE, Washington, DC.,:
- Krause, F., 1996. The cost of mitigating carbon emissions: a review of methods and findings from European studies. Energy Policy 24 (10/11), 899}915.,
- Lovins, A.L., 1998. Climate: Making Sense and Making Money. Rocky Mountain Institute, Snowmass, CO.

[2] Un'analisi più dettagliata è offerta da: Gregory C. Unruh “Understanding carbon lock-in” Energy Policy 28 (2000) 817}830

[3] vedi articolo precedente nella stessa sezione

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>