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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 7 - 1 Dicembre 2006 | 0 commenti

Italia S.p.a.

Al signor Berlusconi piaceva un sacco raccontare che avrebbe trasformato l'Italia in uno Stato-azienda. All'opinione pubblica piaceva indignarsi davanti a questa prospettiva.

Al signor Berlusconi piaceva dire stupidaggini. Passione che per altro condivide con quasi tutti i politici italiani.

Indovinate un po'?

Il signor Berlusconi se ne guardò bene dal mantenere la promessa.

Immaginate una società per azioni di grandi dimensioni, un'impresa la cui proprietà appartiene a migliaia di piccoli azionisti. Supponiamo per un momento che tutte le azioni in circolazione abbiano diritto di voto e che ogni piccolo azionista possegga un solo titolo di credito. Ogni investitore, in questa ipotetica società, possiede pertanto la stessa fetta della torta e il suo voto conta come quello di chiunque altro. Possedere equity di un'azienda significa investire risorse proprie in un'attività produttiva diventandone in parte proprietario, assumere una certa dose di rischio per ottenere un adeguato ritorno sul capitale impiegato.

Mettere d'accordo migliaia di persone sul come, dove e quando impiegare il capitale raccolto non è particolarmente semplice. Per questo motivo, gli azionisti-proprietari decidono di delegare il processo decisionale a vari rappresentanti-amministratori, nominati con lo specifico compito di tutelare gli interessi dell'azionariato.

Di fatto, si separa la proprietà dal controllo dell'azienda.

Nell'ambito della corporate governance, risolvere il conflitto d'interessi che può sorgere tra il principal (l'azionista) e l'agent (il rappresentante degli azionisti) è considerata oggi una priorità assoluta, se non altro per evitare di incorrere nei numerosi fallimenti di mercato che possono emergere.

Mentre gli azionisti hanno a cuore la crescita di lungo periodo della società, i rappresentanti possono infatti preferire strategie potenzialmente dannose ma che garantiscono guadagni di breve termine (magari per assicurarsi un secondo mandato da amministratori).

Il grado d'avversione al rischio nelle decisioni d'investimento è poi inevitabilmente diverso tra principals ed agents, specialmente quando la situazione si fa problematica: mentre i proprietari mirano solitamente a minimizzare il rischio per tutelare il loro piccolo patrimonio investito e si accontentano di ritorni modesti e poco volatili, gli amministratori sono più inclini a prendere decisioni azzardate poiché, qualora queste si rivelassero azzeccate, la loro reputazione e le loro tasche ne gioverebbero. In caso contrario, il costo verrebbe comunque sostenuto dagli azionisti.

A volte gli amministratori finiscono per usare le risorse degli azionisti a fini personali. Il cosiddetto empire building, ovvero l'inutile acquisto del jet aziendale, l'auto-assegnazione di lauti e totalmente ingiustificati salari, di oltraggiosi buoni uscita (dopo pochi anni di servizio e indipendentemente dalla performance). L'ufficio con la sedia in pelle umana, 5 segretarie, il figlio in una posizione di prestigio e l'appartamento di rappresentanza a Montecarlo.

Allo stesso modo, gli amministratori potrebbero avere l'interesse a nascondere o taroccare le vere figure relative alla performance aziendale (per esempio, per nascondere negligenze e non perdere il lavoro); inutile dire che, dal punto di vista degli investitori, una maggior trasparenza significa una miglior capacità di giudizio relativamente all'operato del management e pertanto un minor rischio.

Proprio per cercare di correggere queste asimmetrie e per evitare futuri scandali, i mercati cercano costantemente di disegnare schemi in grado di allineare gli interessi degli amministratori con quelli dei proprietari.

Tramite le stock option, per esempio, si lega la remunerazione degli agents i con la performance aziendale e se l'azienda non cresce gli azionisti licenziano il CdA. Il management incompetente viene rimpiazzato da agents più efficienti tramite scalate ostili. Negli Stati Uniti, dopo il caso Enron, il Sorbanes-Oxley Act è intervenuto per rendere più trasparenti e veritieri i bilanci aziendali. Nei mercati normali (non efficienti, normali), gli agents rispondono delle loro azioni davanti ai principals: se un manager manda in bancarotta un'azienda va in pensione o in galera.

L'Italia, come ogni altra democrazia, non è altro una grande società di capitali con azionariato diffuso. Un'azienda con 60 milioni di piccoli azionisti che investono nell'attività produttiva attraverso i contributi e le tasse. Accettiamo di investire parte degli utili prodotti in investimenti per garantire crescita e benessere di lungo periodo. I dividendi vengono distribuiti sottoforma di servizi pubblici. Un'azione, un voto. I proprietari degli assets siamo noi; affidiamo la tutela dei nostri interessi ad un gruppo di rappresentanti per questioni di efficienza e le strategie aziendali vengono decise rispettando il volere della maggioranza.

L'Italia, al contrario di tutte le democrazie avanzate, mostra tutti i casi di fallimenti di mercato della corporate governance.

Gli agents non hanno mai tutelato gli interessi dei principals.

I nostri rappresentanti, negli anni, hanno indebitato l'azienda ben oltre il suo valore. Italia S.p.A. non cresce, non investe e distribuisce pochi dividendi-servizi. Gli agents non pagano per gli errori. Prediligono scelte senza prospettiva. Falliscono miseramente e si candidano per un nuovo mandato. E a noi va bene. Si arricchiscono indebitamente a spese degli azionisti. Nascondono le vere figure ai proprietari, comodamente seduti nella sala del CdA, comprando jets a spese nostre, aumentandosi lo stipendio e assegnandosi ridicoli buoni uscita dopo soli 30 mesi di servizio nel CdA. Ma mai che si senta parlare di stock options o performance-related bonuses.

Non c'è modo di mandarli ne' in pensione ne' in galera.

Una persona seria sa cosa comporta parlare di stato-azienda. Italia S.p.A chiederebbe un resoconto dettagliato sul raggiungimento degli obiettivi aziendali raggiunti. Italia S.p.A licenzierebbe un migliaio di persone dall'oggi al domani e alcune le manderebbe in galera. Italia S.p.A. non riassumerebbe all'infinito chi ha mandato l'azienda sull'orlo della bancarotta e non assumerebbe incompetenti o persone di dubbia moralità la cui età, per altro, è ben oltre la speranza di vita media dell'azionista medio.

Anche un sacco di persone poco serie sanno cosa comporta parlare di stato-azienda. E forse ho capito perchè questo concetto è così impopolare tra i nostri politici. A inizio mese si sono celebrate le elezioni di “mid-term” negli Stati Uniti che hanno visto l'affermazione del Partito Democratico, oggi all'opposizione del Governo Repubblicano di George W. Bush. La maggioranza al Congresso ed al Senato consentirà ai Democratici, da gennaio, di tenere sotto scacco la politica del Presidente americano per i prossimi due anni, e cioè fino alle elezioni Presidenziali previste per il novembre del 2008.

La campagna che ha accompagnato questa tornata elettorale è stata molto dura, condotta a colpi di spot esplicitamente legati agli scandali sessuali che hanno interessato alcuni membri del Congresso. Solo marginalmente gli obiettivi sono stati le scelte criticate all'amministrazione Bush, anche se all'indomani dell'esito del voto, chi più ha risposto per la sconfitta sono stati i componenti dell'area neo-con del partito Repubblicano. Il Ministro della Difesa Donald Rumsfeld è stato costretto a rassegnare le sue dimissioni, dopo che da tempo non era ben voluto dai Generali sia per la situazione di stallo in Iraq, sia per il piglio autoritario che ha caratterizzato il suo rapporto con i baroni del Pentagono. Altre personalità riconducibili all'area neo-con hanno visto ridotte le loro responsabilità all'interno dell'esecutivo.

Nei prossimi due anni i Repubblicani si giocheranno tutte le carte nel tentativo di superare i Democratici alle presidenziali, probabilmente rivedendo anche alcune scelte fatte, come la permanenza in Iraq ed i rapporti con Corea del Nord ed Iran. I Democratici, d'altra parte, dovranno cercare di concretizzare le tante proposte portate avanti in questa elezione – senza fare troppo conto su scandali e guerra in Iraq – con l'obiettivo di arrivare ad una proposta omogenea e vincente. Uno dei temi sui quali puntare di più sarà , neanche a dirlo, l'economia. La riforma fiscale imposta da Bush e vari problemi produttivi e commerciali per le aziende americane, riconducibili ad un modo errato di affrontare la globalizzazione, hanno infatti portato l'economia americana ad un livello di deficit mai registrato nella storia degli Stati Uniti d'America.

Da gennaio intanto si avrà una piccola rivoluzione per gli Usa. Giacché per la prima volta nella storia, la vittoria dei Democratici ha portato sulla poltrona più alta del Congresso una donna: l'italo-americana Nancy Pelosi. Come una donna potrebbe essere la prossima candidata alla Casa Bianca per gli azzurri dell'asinello. A questo proposito si pronostica, per le future primarie dei Democratici, un testa a testa tra Hillary Clinton (si dice che lei, in verità, il Presidente degli Stati Uniti l'abbia già fatto per otto anni durante i due mandati del marito Bill) e il senatore di colore Barack Obama, giovane promessa del Partito Democratico. Se l'ex-first lady dovesse vincere questa sfida, sarebbe la prima donna a correre per la poltrona più alta degli Stati Uniti.

Come spesso accade, l'esperienza di altre realtà può portare degli spunti sui quali ragionare anche per la politica nazionale. E' il caso di Joe Lieberman, senatore del Connecticut. Liebermann era stato sconfitto alle primarie democratiche in quanto, al tempo del voto per l'intervento militare in Iraq, egli aveva votato a favore della guerra. Presentatosi come indipendente, ha poi sconfitto il candidato Democratico ultrapacifista alle elezioni di mid-term, quando a votare non erano solo i militanti dei Democratici, ma tutti i cittadini del collegio senatoriale. Occhio, quindi, a dare troppo credito alle primarie come sistema per individuare il candidato migliore. Attenzione anche a non rischiare di recidere troppo velocemente il legame con le politiche del governo che ha preceduto, l'elettorato potrebbe spaventarsi. I Democratici lo sanno bene. Infatti, sulla troppa incertezza dovuta ad una componente radicale un po' irrequieta, ci hanno perso le elezioni presidenziali due anni fa.

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