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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 7 - 1 Dicembre 2006 | 0 commenti

L' ipocrisia dei vili

La delicata e toccante vicenda di Piergiorgio Welby, è nota a tutti. Il co-presidente dell'Associazione radicale Luca Coscioni, affetto da distrofia muscolare degenerativa e progressiva, ha rivolto al presidente Napolitano un coraggioso appello affinché un medico potesse porre fine alla sua tormentata esistenza. Il dibattito sull'eutanasia, che sembrava relegato in secondo piano dall'agenda politica interamente occupata nel delineare gli aggiustamenti alla manovra finanziaria, è tornato purtroppo prepotentemente alla ribalta grazie all'eco di una tragedia personale, che a causa della profonda inciviltà del paese in cui viviamo è diventata di dominio pubblico.

Persino la morte caritatevole che i popoli primitivi concedevano ai nemici feriti in battaglia, è un atto di umanità che la civile e cattolicissima Italia, all'alba del terzo millennio non può permettersi. Quello che spaventa gli uomini piccini che nei giorni scorsi hanno animato i salotti televisivi è proprio il concetto stesso implicato della parola morte: un concetto che la società contemporanea rifiuta ed ha tentato di abolire in modo innaturale. Se a causa della delicatezza del problema l'Europa ha risposto in modo difforme, nella nostra penisola si è raggiunto il paradosso per cui il delirio scientista legato all'accanimento terapeutico, si è infelicemente legato alla peggiore bigotteria cristiana, decretando la condanna a vita di coloro che invece ricercano soltanto una morte misericordiosa.

E' con rabbia ed incredulità che sfogliando i giornali ho potuto leggere dichiarazioni come quelle di Riccardo Pedrizzi, presidente della Consulta etico-religiosa di An che sostiene che staccare quel respiratore sarebbe un omicidio, o come quelle di Domenico Di Virgilio che ribadisce, riprendendo Benedetto XVI, che “la vita è intangibile.” La vita nella sua naturalezza è senz'altro intangibile, “ma [...] Che cosa c'è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l'aria nei polmoni? Che cosa c'è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui” [1].

Bastano poche righe della lettera di Welby per catalogare gli ottusi ipse dixit politici per ciò che sono: inconfondibili emanazioni di un manicheismo religioso che si arroga, in modo inattuale, il diritto di vita e di morte su quanto non gli appartiene. La lezione kantiana di una libertà individuale non invasiva, ovvero l'idea stessa che rappresenta un paradigma delle società moderne, non può che essere travisata in una nazione continuamente ostacolata da diktat di matrice religiosa che si frappongono alle libere e coraggiose scelte di individui coscienti e perfettamente in grado di intendere e volere.

Nell'antichità, la morte eroica o quantomeno dignitosa, era ricercata come un evento per se stesso in grado di conferire un senso all'esistenza, in quanto estremo e insondabile limite che separa l'essere dal non-essere; purtroppo nel mondo contemporaneo scientifico e politicamente corretto, l'individuo è obbligato, non soltanto a vivere, ma anche a morire uniformandosi all'etica comune. Un' etica comune che molto spesso non si dimostra all'altezza del nome altisonante che riveste, poiché in nessun luogo, come negli ambiti così tragicamente personali, palesa il volto inumano del dogma.

Prima di terminare con un passo tratto dalla lettera di Welby, vorrei ricordare a coloro che ciarlano invano d'omicidio, ai comitati per la vita, ai vescovi, e alle varie consulte etico-religiose, come persino un popolo considerato arretrato rispetto ai canoni della modernità, come fu ad esempio quello azteco, possedesse, al contrario di noi, quella pietas necessaria a non fare soffrire inutilmente i malati progressivi ed incurabili. Ma sono passati circa 600 anni dal declino di quelle civiltà barbare, ed oggi, grazie ad un uso intelligente del progresso, possediamo strumenti infinitamente più sofisticati per prolungare le agonie dei nostri infermi…

Ma il dogma è dogma, e come tale va rispettato: bisogna trascinarsi il più possibile nell'esistenza, anche quando questa perde totalmente di significato, e bisogna anche essere felici per i giorni che il buon dio, o qualche accanimento terapeutico, sono in grado di regalarci. Questo c'insegnano gli uomini vili.

Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c'è pietà.[2]

Omicidio?


[1] Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Da Piergiorgio Welby Co-Presidente dell'Associazione Coscioni

[2] Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Da Piergiorgio Welby

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