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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 7 - 1 Dicembre 2006 | 0 commenti

Un'Europa di città e regioni?

Sembra ormai un luogo comune che il processo d'integrazione europea abbia progressivamente sminuzzato la sovranità esclusiva dello Stato nazione tra diversi centri decisionali, tra Bruxelles, governi regionali, agenzie indipendenti, privati… Su una questione c'è invece molto meno accordo: qual è il livello di governo ottimale per una gestione sufficientemente democratica ed efficiente della cosa pubblica, dei servizi alla comunità, nella regolamentazione del sistema economico? Chi sono dunque i soggetti politici ultimi di riferimento nel sistema istituzionale europeo? In breve, da qualche decennio stiamo assistendo ad un dibattito apparentemente velleitario ma pieno di complessità giuridiche, politiche ed economiche: all' Europa delle Nazioni si contrappone un' Europa delle Regioni, o un' Europa delle Città?

A fronte dei processi di decentramento amministrativo e politico occorsi in gran parte dei Paesi europei negli ultimi venti anni, si sono aperti varchi legislativi per attori politici locali particolarmente lungimiranti o ambiziosi da sfruttare per sfuggire dalle strette maglie della legislazione statale su un numero crescente di ambiti di politiche pubbliche, quali i trasporti, i servizi sociali, l'educazione, l'ambiente, la pianificazione del territorio, lo sviluppo economico locale. Questo processo è stato fortemente indotto – in maniera indiretta – dalla Comunità Europea, soprattutto attraverso la leva dei diversi Fondi Strutturali, indirizzati esclusivamente ai governi regionali per finanziare progetti di sviluppo locale e promuovere così nel lungo periodo una maggiore convergenza nei livelli produttivi e di benessere su tutto il territorio europeo. Dopo un periodo di assestamento, un discreto numero di Regioni si sono contraddistinte per il loro attivismo sia come procacciatrici di fondi, sia per la volontà di incidere direttamente nella definizione delle politiche europee negli ambiti di loro competenza. Col decisivo traino dei Länder tedeschi – parte di un sistema federale, quindi dotati di poteri più corposi in casa propria dirimpetto allo Stato, rispetto alle Regioni italiane o francesi -, i governi regionali si sono aperti varchi consistenti tra le istituzioni europee, ottenendo diritti all'essere consultati, tramite il loro organo di rappresentanza collettiva a Bruxelles – il Comitato delle Regioni – prima di ogni decisione che ricada nel loro ambito di competenza. Negli ordinamenti interni hanno ottenuto il diritto ad un accesso diretto alla UE, senza la mediazione dello Stato centrale. Il concreto presupposto, indubitabile, è che l'attività normativa comunitaria è ormai talmente pervasiva nei suoi effetti da limitare o indirizzare in modo decisivo lo spazio d'azione di tutti i livelli di governo. Soprattutto le politiche europee ricadono sui governi locali nel momento della loro attuazione: l'Europa prescrive, le Regioni fanno. Da qui la necessità di un'Europa delle Regioni, secondo loro. Ma lo stesso discorso vale per le città.

E' indubitabile che all'interno di quelle regioni in cui sia presente una grande città metropolitana – Milano in Lombardia, Lione nella Rhone Alpes, Monaco in Baviera etc…- siano proprio queste ultime ad avere un peso specifico, sia come rilevanza economica, che come profilo internazionale. Gli amministratori locali hanno la responsabilità ultima nell'erogazione dei servizi pubblici, nella pianificazione produttiva della loro zona, l'appeal democratico come livello di governo, in cui i cittadini possono avere un'influenza diretta. Il risveglio delle identità particolaristiche locali ha inoltre esacerbato un conflitto sottostante di carattere eminentemente politico, tra classi dirigenti locali e classi dirigenti nazionali (ricordate in Italia l'ipotesi di un “partito dei sindaci”?). La coscienza della posta in gioco si è fatta lentamente strada tra i Sindaci delle maggiori città europee, che hanno cominciato a intessere una vera e propria politica estera cittadina, legando il proprio territorio a reti di collaborazioni tematiche con altre città (il già citato Eurocities), costituendosi come associazione di lobby sia nei confronti della Comunità Europea sia delle stesse Regioni. L'obiettivo della visione dell' Europa delle Città è speculare a quella delle Regioni: porre la città – e le sue strutture di governo – come soggetto ultimo di riferimento delle politiche comunitarie, ottenendo così un potere consultivo, e di veto, ben più che formale nell'arena europea, che legittimi in ultima istanza l'autonomia del governo locale da quello statale all'interno degli Stati membri, rafforzando dunque il profilo politico e l'importanza delle sue classi dirigenti.

Nonostante questi pur significativi sviluppi, allo stato attuale delle cose i governi statali dispongono ancora di un potere decisionale e normativo ancora significativo. L'organo chiave del processo decisionale europeo, il Consiglio dei Ministri, è composto in gran parte da rappresentanti dei governi nazionali, a cui possono essere affiancati rappresentanti regionali ma sempre per decisione dello Stato centrale. Il Comitato delle Regioni rimane un mero organo consultivo, e non avrebbe guadagnato niente nemmeno nel progetto di Trattato Costituzionale, al momento congelato. In più anche in seno a quel Comitato, il centinaio di membri che ne fa parte fatica assai a trovare posizioni unitarie, per le inevitabili dinamiche centrifughe degli interessi particolari di ogni territorio. Basti pensare alla guerra tra poveri che si è sviluppata tra le Regioni italiane, spagnole, portoghesi e irlandesi – finora le maggiori destinatarie dei Fondi europei di sviluppo – e quelle dei nuovi Stati membri, che le hanno scalzate come territori più bisognosi e quindi ora privilegiate nell'allocazione dei fondi.

Da una parte è vero che l'autonomia decisionale dei territori favorisce la partecipazione democratica, l'efficienza organizzativa e la snellezza burocratica, dall'altra conduce ad una pericolosa china di competizione a tutto campo tra classi politiche e tra aree economiche. La forza delle reti, dei network regionali e locali transfrontalieri funziona finché ci sono obiettivi comuni. Quando poi si tratta di finanziamenti e riconoscimenti politici, ognuno bada, come è ovvio, al proprio tornaconto. Soprattutto l'elettorato bada di rieleggere chi porta a casa da Bruxelles fondi e gloria per la propria comunità. Siamo sicuri che un' Europa delle Regioni o delle città non ci porterebbe ad un neo – medievalismo di potentati particolari, invece che nel futuro?

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