Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Bologna, Numero 12 - 1 Marzo 2007 | 0 commenti

1977, lo stato si abbatte, non si cambia

Sono passati esattamente trenta anni dall'infuocato 1977. Anno violento e nichilista, anno rivoluzionario nel senso etimologico del termine, al contrario del tanto sbandierato '68, denso di avvenimenti tragici e sogni infranti. Non è un caso che l'icona con cui comunemente s'identifica quel periodo storico, sia la foto dell'autonomo Maurizio Azzolini, intento a sparare alla polizia. Nonostante disordini si siano verificati più o meno in tutta Italia – Indro Montanelli viene gambizzato a Milano, Giorgiana Masi, una studentessa di diciannove anni viene uccisa a Roma dalla polizia durante una manifestazione- è forse a Bologna, che concausa l'uccisione di Francesco Lorusso in via Mascarella, il movimento trova il suo naturale epiciclo. Il Dams di Andrea Pazienza e del suo cattivissimo figlioccio Zanardi, Radio Alice, ormai epica emittente locale, divengono in una certa misura, la voce bolognese di questa incontrollabile ondata di scontri.

L'immaginazione al potere, scandita dai figli dei fiori soltanto nove anni prima, cede il passo a slogan pragmaticamente sovversivi: Fascisti e polizia fate fagotto, arriva la compagna P38- kloro al klero- lo stato si abbatte, non si cambia – non tirate la cinghia, tirate le molotov…

Insieme ai motti, cambiano anche le sonorità: la psicadelia pigra e allucinogena dei Zeppelin, degli Who e degli ultimi Beatles, che avevano accompagnato il movimento hippy, si convertono nella rabbiose note dei Pistols, gracchiate nel microfono da un giovanissimo Sid Vicious, che morirà a ventuno anni d'overdose, è il 1979.

In soli nove anni, dal pacifismo antimilitarista dei sessantottini, si passa alla lotta armata dei nuovi arrabbiati. Un grande partito comunista, e la Cgil di un altro bersaglio privilegiato, Luciano Lama(LAMAdama ha sgombrato l'università), non sono più interlocutori validi per farvi confluire la frustrazione e la rabbia sociale del nuovo sottoproletariato; e precisamente su questo punto insiste la peculiarità e la linea di cesura netta tra i due movimenti. Il Sessantotto, senz'altro più vivace in ambito artistico, nasce ed è alimentato dai figli della borghesia. In questa prospettiva, più che di eversione e di rabbia vera e propria, sarebbe forse giusto inquadrarlo come un movimento culturale improntato alla trasgressione, in risposta ad una società immobile ed eccessivamente patinata e moralista. Tuttavia, per diversi aspetti il Sessantotto non rappresentava una minaccia realmente eversiva che la società non potesse assorbire senza grossi mutamenti: era del tutto normale che un'espressione figliata dalla borghesia, per quanto libertaria, non avrebbe potuto frantumare in profondità il DNA su cui era stata plasmata. E' per questi motivi che il movimento fu trattato con maggiore morbidezza a livello politico e repressivo, in fondo gli universitari figli di avvocati e notai, anche quando manifestavano, rimanevano comunque figli di avvocati e notai…

Al contrario il '77 nasceva e si alimentava nelle fabbriche e nelle periferie disagiate, se infatti i lasciti culturali non sono paragonabili a quelli sessantottini, è innegabile che la rabbia autentica che sprigionò questa seconda ondata rivoluzionaria è esponenzialmente maggiore, e infatti furono infinitamente più numerosi le azioni violente, il numero dei morti e le città messe a ferro e fuoco dai dimostranti. La sera dell'11 Marzo, il giorno dell'uccisione di Lorusso, confluirono nel capoluogo emiliano comitati da tutta Italia, la motivazione era lampante: guerriglia urbana e vendetta. Maurice Bignami, uno dei capi militari della formazione terroristica Prima Linea, ricorda quel giorno con queste parole “ Andammo verso la stazione ferroviaria perché sapevamo che compagni di varie organizzazioni stavano vendendo a Bologna con ogni mezzo. C'erano gli automezzi della polizia e, protetti dai portici, cominciammo a sparare contro mezzi e poliziotti”[1]

Se il titolo di una riuscitissima opera di Dario Fo- L'operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone- possiede più che qualche verosimiglianza con la vita reale, era inscritto nel naturale ordine delle cose che il Settantasette non lasciasse che qualche debole traccia. Ma non perché fosse meno importante e serio sotto l'aspetto sociale [del '68] al contrario, ma perché i leader del Sessantotto conoscevano le “mille parole”e sono diventati padroni [...] mentre gli “autonomi”erano dei disperati, che dopo quella breve stagione si sono dispersi.[2]


[1] Dossier,febbraio 2007, inserto La Nazione

[2] Ibidem, Disperato e violento, così nacque l'anti '68, di Massimo Fini

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>