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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 12 - 1 Marzo 2007 | 0 commenti

Crisi di governo

Per molti versi era prevedibile uno scivolone che portasse ad una crisi di governo. Da settimane, infatti, si era aperto all'interno della maggioranza un confronto aspro su vari temi, che vedeva esponenti sostenitori di posizioni contrastanti minacciare la caduta del Governo qualora le loro istanze non fossero state tenute in debito conto. Ora non c'è da stupirsi se alcuni membri di questa maggioranza abbiano preso troppo sul serio queste minacce.

Appena qualche minuto dopo la rivelazione dell'esito del voto, le prime dichiarazioni puntavano il dito contro la legge elettorale colpevole, secondo alcuni, di aver agevolata l'instabilità politica. Questo tema – che ci raccontiamo da mesi – non è il vero motivo della crisi apertasi nella maggioranza ( malgrado la legge sia da più parti criticata e in molti auspicano in una sostanziale riforma che riporti ad un sistema elettorale di tipo maggioritario ), poiché oggi più che mai i singoli eletti alla Camera ed al Senato sono stati scelti dalle segreterie dei partiti più che dall'elettorato. Quindi la colpa, per certe posizioni assunte da vacanzieri della politica – perché altro non sono, incapaci di comprendere l'alto valore istituzionale del loro ruolo – , la si deve imputare a quei dirigenti nazionali di partito che a costoro hanno garantito un posto sicure nelle granitiche liste elettorali. Gente come Franca Rame (che solo sull'onda dell'antiberlusconismo non ha dato seguito alle minacce), Fernando Rossi e Franco Turigliatto è stata scelta malgrado tutti sapessero quali fossero le loro posizioni, assolutamente avulse da qualsiasi logica di Governo. Quindi l'instabilità politica è stata provocata da tutti coloro che pensavano di poterla successivamente usare come strumento per ricattare l'Esecutivo (da loro stessi sostenuto), salvo poi piangere lacrime di coccodrillo appena si prospetta la possibilità di dover fare le valige anzitempo.

Lo snaturamento del ruolo della politica, anni di anti-berlusconismo selvaggio, l'inacapacità di aprire un sano confronto tra due modi di essere di sinistra, hanno fatto credere al cittadino-elettore che in fondo votare Democratici di Sinistra o Rifondazione Comunista fosse la stessa cosa, perché comunque entrambi si battevano per “mandare a casa Berlusconi”. A caldo viene da pensare che sarebbe opportuno approfittare dell'attuale situazione per combattere affinchè quello che fino a ieri non si è potuto ( o voluto ) fare, oggi diventi il punto centrale dell'azione politica della parte maggioritaria della sinistra italiana ( cioè quella parte responsabile che vuole governare con l'ambizioso obiettivo di rilanciare questo strano Paese ): marginalizzare la sinistra regressista.

Negl'anni scorsi si sentivano timide voci – subito zittite – che richiamavano l'attenzione sull'inutilità di un'opposizione dura e poco ( o nulla ) propositiva che non avrebbe consentito la formazione di una cultura di governo, e sulla difficoltà di creare una maggioranza stabile con esponenti politici troppo influenzati da movimenti di piazza sempre più lontani dalla società. Il risultato è stato l'elezione in Parlamento di persone che preferiscono passare il sabato pomeriggio a organizzare prove di forza contro il Governo piuttosto che sudare in Parlamento alla ricerca faticosa di intese e proposte in grado di fare il bene dell'Italia. Purtroppo però nelle condizioni attuali, come ci ricordava Ezio Mauro dalle colonne de La Repubblica, “senza la sinistra radicale non si vince e con la sinistra radicale non si governa”.

Probabilmente sarebbe opportuno fermarsi a ragionare e meditare su questa infinita transizione che in questi ultimi quindici anni ha fatto più male che bene al nostro Paese. Si dovrebbe prendere atto dell'impossibilità, da parte della Politica, di lavorare per l'interesse generale finché le divisioni saranno così profonde. Sarà compito dei protagonisti della politica lavorare affinché cadano gli steccati e nasca una proficua collaborazione ( nella diversità di proposte che c'è ed è giusto che venga esposta con pacatezza) tra maggioranza ed opposizione.

La risolutezza del Presidente del Consiglio, le divisioni interne all'opposizione (che non è stata in grado di proporre una soluzione unitaria) e l'assenza di una maggioranza alternativa, hanno costretto il Presidente della Repubblica a respingere le dimissioni del Governo. In settimana Prodi si ripresenterà in Parlamento per ricevere la fiducia. Ci si augura che i conti siano stati fatti bene e che i dissidenti capiscano che da soli ( questa volta nel vero senso della parola ) non si cambia il Mondo. Nel caso la crisi si riproponesse, non ci sarebbe altra alternativa alle elezioni – probabilmente precedute da un Governo istituzionale che modifichi la legge elettorale – che molto probabilmente porterebbero ad un esito nefasto per una coalizione che, in quel caso, avrebbe dimostrato di essere inaffidabile.

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