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Scritto da nel Internazionale, Numero 26 - 16 Ottobre 2007 | 0 commenti

L'Impero (britannico) colpisce ancora

Città del Messico, 22 giugno 1986, XIII edizione dei Mondiali di Calcio.

Sul campo dell'Azteca si scontrano Argentina e Inghilterra: risultato finale 2 a 1 per i Sudamericani; una partita leggendaria con protagonista assoluto Diego Armando Maradona, segnata da uno dei più bei goal della storia del calcio[1] e da quello più contestato: il celeberrimo goal di mano (la Mano de Dios) del Pibe de Oro, atto di giustizia divina a seguito della drammatica sconfitta dell'Argentina nella Guerra delle Falkland contro gli Inglesi…

Era il 2 aprile del 1982 quando il Presidente argentino Generale Galtieri ordinò l'occupazione delle Falkland (o Islas Malvinas), arcipelago a largo delle coste orientali argentine, sotto il controllo britannico dal 1833. Il Governo Thatcher rispose prontamente inviando l'esercito, respingendo gli invasori, sancendo la fine del conflitto il 14 giugno, con perdite da entrambe le parti (1000 morti circa) e con l'umiliazione del regime dei militari. La sconfitta, insieme a crisi economica, corruzione e manifestazioni anti-junta, diede la spallata finale alla dittatura, ma aprì una ferita ancora non rimarginata. Un duro colpo per l'orgoglio nazionale degli Argentini che oggi rischia d'essere nuovamente messo alla prova: Londra si sta infatti preparando a presentare alle Nazioni Unite una richiesta in cui reclamerà la sovranità su migliaia di chilometri quadrati di oceano attorno alle Isole Falkland al fine di essere legittimata a sfruttare le risorse di idrocarburi e minerali presenti sui fondali[2]. La reazione del Governo argentino e dell'opinione pubblica non si è fatta attendere: forte sdegno ed un ovvio secco rifiuto.

Ma le mire espansionistiche del Regno Unito non si limitano solo alle Falkland, bensì a tutto l'Oceano Atlantico: in particolare Ascension Island, a largo delle coste africane, e Rockall (fig.1), uno scoglio in pieno oceano tra Islanda e Donegal irlandese, conteso da Eire, Danimarca e Islanda (oltre alla Gran Bretagna).

fig.1: Rockall (http://it.wikipedia.org/)

Il Regno Unito non è il solo paese a muoversi: Francia, Russia, Norvegia, Nuova Zelanda, Australia stanno presentando all'ONU le rispettive proposte allo scopo di ampliare la propria egemonia sui mari ma, soprattutto, su quello che c'è sotto. Petrolio, gas naturali e minerali conservati nel fondo degli oceani sono il nuovo miraggio delle superpotenze assetate d'energia.

La scadenza per questa corsa all'oro è il maggio 2009, data entro cui tutti i paesi interessati dovranno presentare le proprie rivendicazioni territoriali sui fondali marini alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale delle Nazioni Unite. L'International Convention on the Law of the Sea[3] stabilisce una zona economica di 200 miglia marine dalla costa per i diritti di sfruttamento di idrocarburi e altre risorse naturali; la condizione fondamentale per l'ampliamento dei confini delle acque territoriali è provare quindi scientificamente che le rispettive piattaforme continentali siano più estese rispetto a quanto riportato sulle attuali mappe. In tal senso si spiega la clamorosa missione scientifica russa sui fondali artici[4] nell'agosto scorso. L'Artico è infatti sotto questo aspetto la zona più calda: contesa da Federazione Russa, Stati Uniti, Canada, Norvegia e Danimarca[5].

Crisi energetica e necessità di risorse naturali hanno innescato una guerra silenziosa tra le potenze mondiali e crisi diplomatiche tra numerosi paesi in tutto il mondo. Sono ben 45 le nazioni che potrebbero estendere la propria egemonia sottomarina secondo le nuove norme che entreranno tra qualche anno in vigore. Si tratta però di una gara corsa un po' alla cieca, basata più sull'ottimismo dei geologi che su prove consistenti: nel caso degli obiettivi atlantici della Gran Bretagna, pur essendo state effettuate ricerche e test sui fondali, non si è trovato alcun giacimento, per il momento, economicamente significante.

Una nuova epoca coloniale si è aperta: terminate le terre emerse da conquistare, si passa ora alle profondità abissali degli oceani.


[1] http://it.youtube.com/watch?v=jWNnK99mcrw

[2] The Guardian, 22/09/07: http://www.guardian.co.uk

[3] http://www.un.org

[4] http://www.la7.it/news/

[5] Si consiglia la visione di questa video-parodia ideata da Greenpeace http://it.youtube.com

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