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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 26 - 16 Ottobre 2007 | 0 commenti

L'Italia va piano, poco sano e non lontano

Recentemente un sondaggio dell'Economist, fra una dozzina delle maggiori banche d'affari del mondo, conferma il buono stato di salute dell'economia europea (+2,7%), mentre il dato sulla crescita dell'economia italiana è fermo all'1,9%. L'Italia, dunque, va piano rispetto agli altri paesi europei come la Germania (+2,8%), Gran Bretagna (+2,8%) e Spagna (+3,7%). Anche se sul perché della bassa crescita italiana non c'è un grande dibattito, il principale ostacolo risiede nell'incapacità di interpretare correttamente le difficoltà strutturali a trasformare il potenziale sviluppo dell'Italia in sviluppo potenziato.

La prima difficoltà riguarda un'eccessiva specializzazione nei settori tradizionali più esposti alla competizione globale. Ai più risulta ormai evidente la necessità di una ri-specializzazione industriale; meno chiare sono invece le condizioni per implementarla fra cui le due più importanti: nuovo welfare e lotta all'evasione fiscale. Rispecializzare un'economia significa andare incontro a costi di transizione di natura sociale, e la flessibilità va accompagnata da un rafforzamento degli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori. Nuovi sistemi di protezione sociale rappresentano una condicio sine qua non è impossibile realizzare la rispecializzazione. Perché questo avvenga è fondamentale che il tema del nuovo welfare diventi un fatto di interesse delle imprese, piuttosto che dello Stato. Inoltre, agli economisti è noto come evadere le imposte risulti più semplice nei settori maturi o tradizionali. In questo caso, la lotta all'evasione fiscale non è dettata dalla ricerca di moralismi o di rimpinguamento delle casse dello Stato, ma dal fatto che non ostacolare l'evasione vorrebbe dire lasciare in piedi i settori più maturi.

La seconda difficoltà è causata dal mancato assorbimento nell'economia reale del maggior grado finanziarizzazione dell'intero sistema. Negli ultimi anni la crescita della struttura finanziaria è risultata di gran lunga superiore a quella dell'economia reale. Come mai il maggior grado di finanziarizzazione dell'economia non è stato assorbito dall'economia reale? Dai dati risulta evidente che i prestiti sono andati a finanziare gli acquisti di beni e attività già esistenti, gli immobili per le famiglie e le fusioni/acquisizioni per le imprese. Le banche sono nate verso la fine del XV secolo su iniziativa dei Francescani per concretizzare un duplice obiettivo: prestare i soldi ai poveri e a chiunque avesse una buona idea. Come mai oggi si prestano soldi solo a chi già ne detiene abbastanza e non si considera chi invece ha una buona idea? Un urgente ritorno alle origini in questo caso vorrebbe dire progresso, con un conseguente sviluppo degli investimenti produttivi.

La terza riguarda la difficoltà di attuare il cosiddetto modello di quarto capitalismo. Sebbene la crescente pressione concorrenziale sulle produzioni tradizionali abbia indotto delle modifiche nella struttura del sistema produttivo, l'Italia mostra ancora una spiccata vocazione manifatturiera e distrettuale. Il nuovo concetto di distretto industriale, però, impone la logica del modello di quarto capitalismo o della Silicon Valley tout court, nel senso di una triangolazione cooperativa di università, imprese ed enti locali. Per far questo, tuttavia, servirebbero meno convegni di vario genere e molti più gesti di umiltà delle tre parti, per cui ognuna di esse possa capacitarsi che da sola non può farcela.

La quarta difficoltà strutturale, infine, attiene alla mancata ristrutturazione dell'assetto interno delle nostre imprese ancora di stampo taylorista. All'interno delle imprese risulta evidente, in parecchi casi, la netta separazione fra la struttura produttiva e il disegno organizzativo, ovvero fra il capannone e l'ufficio per intenderci. Questo tipo di assetto ha funzionato in passato ed ha anche dato i suoi frutti, ma ora non funziona più. Al modello di gerarchia taylorista, dove può comandare chiunque detenga potere economico, bisogna sostituire il modello di autorità, dove comanda chi è in grado di valorizzare i talenti di tutti ed estrapolare la fantasia anche dell'ultimo arrivato.

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