Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 26 - 16 Ottobre 2007 | 0 commenti

Perché non possiamo essere cristiani

Nel 1943 Benedetto Croce scrisse il famoso saggio, in verità più citato (e incompreso) che letto, Perchè non possiamo non dirci cristiani. Dopo alcuni anni, precisamente nel 1957, gli fece eco Bertrand Russel col suo Perchè non sono cristiano. Nel 2007 è stato gettato un nuovo guanto di sfida, e la querelle sul perché sì, o perché no, ha guadagnato un nuovo capitolo, scritto questa volta da Piergiorgio Odifreddi.

Inizialmente, considerando la caratura internazionale degli illustri predecessori, l'esercizio svolto dal matematico impertinente mi è apparso vagamente egocentrico, in quanto si è idealmente posto, per scriverne l'epilogo, in una corrente che ha annoverato tra i suoi partecipanti, l'elite della cultura europea.

Tuttavia, il Perché non possiamo essere cristiani di Odifreddi, è uno scritto originalissimo e graffiante, che oltre al nome, poco ha in comune con la speculazione crociana e russeliana. La tesi essenziale del “saggio”, formulata grazie ad un attento studio filologico e statistico, rimanda all'arretratezza scientifico-culturale patita dalle nazioni dove il cristianesimo è religione, o meglio superstizione di stato. Da un lato l'autore procede ad una lettura attenta dei testi sacri, improntata a criteri filologici e storiografici, non tanto per dimostrarne l'infondatezza, quanto per mettere in luce come sia lontana, anche scritturalmente, l'originale fede cristiana rispetto all'accettazione dell'edificio che secolarmente si è sedimentato attraverso scismi, dogmi e scomuniche. L'accostamento tra Cristianesimo e cretinismo, apparentemente irriguardoso, è in realtà corroborato dall'interpretazione autentica di Cristo stesso, che nel Discorso della Montagna iniziò l'elenco delle beatitudini con: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”[1]

Dopo la tagliente ironia a cui Odifreddi sottopone la lettura dei testi sacri, l'autore indirizza la sua analisi ai costi concreti che uno stato laico, come dovrebbe essere l'Italia, è costretto a sostenere in modo più o meno palese, per mantenere inalterati i privilegi di cui il clero dispone in modo anacronistico: al miliardo di euro dell'8 per mille di contribuenti, va aggiunta ogni anno una cifra dello stesso ordine di grandezza sborsata dal solo Stato[...] nel 2004, ad esempio, sono stati elargiti 478 milioni di euro per gli stipendi degli insegnanti di religione, 258 milioni per i finanziamenti alle scuole cattoliche, 44 milioni per le cinque università cattoliche, 25 milioni per la fornitura dei servizi idrici alla Città del vaticano, 20 milioni per l'Università Campus Biomedico dell'Opus Dei[2]- l'elenco stilato dal matematico impertinente sarebbe troppo lungo per riportarlo nella sua interezza, il calcolo finale di quello che la chiesa cattolica costa ogni anno ai contribuenti, secondo l'autore è stimabile in nove miliardi di euro, il 45% della manovra finanziaria del 2006.

In altri termini, senza la Chiesa, o almeno senza i suoi privilegi economici, lo Stato potrebbe praticamente dimezzare le tasse a tutti i suoi cittadini.

Un libro da leggere, ed un attacco frontale condotto da un matematico, in un'epoca dove anche le forze politiche cosiddette di sinistra, fanno a gara per accaparrasi i placet vaticani.


[1] P.Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani ( e meno che mai cattolici) , 2007, Longanesi., p.9

[2] ibidem p.165,166

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>