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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 33 - 16 Febbraio 2008 | 2 commenti

l'European Emissions Trading Scheme: aspetti economici ed istituzionali

Il surriscaldamento del pianeta è un problema globale; pertanto la riduzione delle emissioni di gas serra arrecherà alla società lo stesso beneficio ambientale indipendentemente da dove tali emissioni vengano ridotte e da chi le riduca; a parità di beneficio conviene quindi ridurre le emissioni laddove il costo di abbattimento sia più contenuto. È questo il principio economico alla base dell'European Emissions Trading Scheme (ETS): il mercato di scambio dei permessi di emissione istituito nel 2003 dalla Direttiva europea 2003/87.
Immaginiamo uno scenario semplificato in cui ci sono solo due impianti; uno che opera sulla frontiera dell'efficienza energetica (ad esempio un impianto di cogenerazione a ciclo combinato in Danimarca) ed un impianto molto obsoleto e inquinante (ad esempio una vecchia centrale a carbone in Polonia). L'impianto pulito danese emette 3 unità di anidride carbonica e, essendo già efficiente, per ridurre ulteriormente le proprie emissioni dovrebbe sostenere un costo molto elevato (ricerca e sviluppo..), diciamo 100 euro per emissione abbattuta. L'impianto polacco è invece più inquinante, emette 7 unità di Co2 ed il costo per ridurre le proprie emissioni è più contenuto (basterebbe montare un filtro già esistente sul mercato, ad esempio), diciamo 30 euro per emissione ridotta.
In totale vengono emesse 10 tonnellate di Co2; immaginiamo che l' Unione Europea voglia portarle a 8, imponendo a ciascun impianto l'obbligo di ridurre un emissione.
Senza mercato dei permessi il costo totale per abbattere due unità di Co2 sarebbe di 130 euro. Se tuttavia esistesse la possibilità di contrattare il diritto proprietario di emissione, allora l'impresa danese invece di ridurre la sua emissione internamente spendendo 100 euro, potrebbe preferire comprare un diritto di emissione dall'impresa polacca (ad un prezzo inferiore di 100). Acquistando un permesso potrebbe continuare ad inquinare le sue 3 unità di Co2, finanzia indirettamente l'impresa polacca affinché riduca un' emissione al posto suo. A questo punto l'impresa polacca dovrebbe abbattere non solo la sua unità di Co2, ma anche una aggiuntiva per conto dell'impresa danese, al costo totale di 60 euro.
Grazie al mercato di scambio lo stesso risultato (2 emissioni abbattute) può essere raggiunto ad un minor costo (60 invece di 130 euro). Tutto questo a una condizione: che il prezzo del permesso sia profittevole per entrambe le imprese (compreso cioè tra 30 e 100 euro).
Come funziona l'ETS
Chi opera nell'ETS può produrre gas serra in misura eguale al numero di permessi che detiene. Ogni permesso equivale al diritto di emettere una tonnellata di anidride carbonica (CO2) ed è liberamente commerciabile. I permessi sono una commodity artificialmente generata dai governi; l'art. 9 della Direttiva 2003/87/EC delega infatti agli Stati Membri l'onere di redigere un Piano di Allocazione Nazionale (PAN) in cui specificare quanti permessi allocare agli impianti nazionali regolati dall'ETS e come distribuirli tra gli operatori nazionali. Una volta stilato, il PAN deve essere inviato alla Commissione che può accettarlo, modificarlo o rifiutarlo.
La totalità dei permessi complessivamente distribuiti da ogni Stato Membro determina il cap alla produzione di gas serra nell'ETS; ogni emissione eccedente tale tetto dovrà essere ridotta. Gli operatori dovranno abbattere ogni emissione superiore all'ammontare di permessi assegnati loro o, in alternativa, acquistare nell'ETS i permessi di cui necessitano al prezzo di mercato. Grazie all'attività di trading, i permessi verranno acquistati da chi, avendo alti costi di abbattimento, li valuta maggiormente mentre le emissioni verranno ridotte da chi può farlo al minor costo. È questo il meccanismo economico sottostante i sistemi di Cap and Trade come l'ETS.
Condizione necessaria per il corretto funzionamento dell'ETS è la scarsità di permessi contrattabili. Nel caso l'ammontare di permessi distribuiti eccedesse le emissioni complessivamente prodotte dagli impianti dell'ETS, de facto non ci sarebbe alcun incentivo economico né alcun obbligo legale a ridurre le emissioni né a contrattare alcun permesso, il cui prezzo scenderebbe a zero.
Quanto dura l'ETS?
La Direttiva comunitaria 2003/87 suddivide l'ETS in diverse fasi. La prima fase pilota ha avuto una durata triennale (2005-2007). La seconda fase è cominciata con l'anno nuovo e avrà una durata quinquennale (2008-2012); il suo termine coincide quindi con la scadenza del Protocollo di Kyoto. Inoltre, in seguito alla decisione unilaterale dell'Unione Europea di ridurre entro il 2020 le proprie emissioni del 20% rispetto il 1990, una terza fase sarà avviata nel 2013 fino al 2020 (post-Kyoto).
In ogni fase gli operatori dell'ETS ricevono un ammontare annuale di permessi che possono liberamente contrattare solo all'interno della stessa fase. La Direttiva vieta il trasferimento di permessi da una fase a quella successiva; pertanto al termine d'ogni fase i permessi immagazzinati scadono e non possono più essere utilizzati. Questo implica che gli Stati Membri debbano redigere un nuovo PAN per ogni fase dell'ETS.
Entro l'aprile di ogni anno gli operatori dell'ETS devono consegnare un numero di permessi equivalente alle tonnellate di anidride carbonica prodotta l'anno precedente. Per ogni permesso mancante l'operatore deve pagare 40€ nella prima fase e 100€ nella seconda; questa multa non esenta l'operatore inadempiente dal presentare i permessi mancanti.
Cosa regola l'ETS?
Un errore comune è confondere l'ETS con il Protocollo di Kyoto; l'ETS è in realtà uno strumento economico implementato in Europa per facilitare il perseguimento del target di Kyoto. Molte sono le differenze esistenti tra l'ETS e il Protocollo, due di queste vengono sottolineate di seguito.
In primis, il Protocollo di Kyoto è un trattato soggetto alle norme e procedure del diritto internazionale; de facto non esiste un'autorità coercitiva internazionale in grado di sanzionare un paese che non dovesse rispettare i termini del Protocollo. Al contrario, l'ETS è definito dal diritto comunitario e la Commissione Europea ha il potere giuridico di sanzionare i soggetti inadempienti.
In secondo luogo, mentre il Protocollo si prefigge di ridurre tutti i gas serra prodotti nei Paesi che lo hanno liberamente ratificato, la Direttiva 2003/87/CE regola solo l'anidride carbonica prodotta dagli impianti appartenenti a questi settori:
ATTIVITA'
SOGLIA
Impianti di combustione
Potenza calorifica > 20 MW
Raffinerie di petrolio
Cokerie
Arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici compresi i minerali solforati
Produzione di ghisa o acciaio
> 2,5 t/h
Produzione di clinker / cemento
> 500 t/giorno
Produzione di calce viva
> 50 t/giorno
Fabbricazione del vetro / fibre di vetro
> 20 t/giorno
Fabbricazione di prodotti ceramici
> 75 t/giorno e/o capacità forno > 4 m3 e densità di colata per forno > 300 kg/m3
Fabbricazione di pasta per carta
Fabbricazione di carta e cartoni
> 20 t/giorno
Fonte: Commissione Europea, 2003, Direttiva 2003/87/CE
I soggetti che operano nell'ETS non sono quindi i Paesi firmatari come nel caso del Protocollo, ma i quasi 12.000 impianti europei definiti dalla direttiva.
In conclusione, l'ETS regola solo una parte delle emissioni che interessano il Protocollo di Kyoto[2]. Rispettare la regolamentazione europea non implica necessariamente rispettare i termini di Kyoto. Al contrario è possibile che un paese, pur adempiendo agli obblighi imposti dall'ETS, non persegua il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni stabilito nel Protocollo di Kyoto.


[2] la Commissione stima nel 2005 che l'ETS avrebbe regolato solo il 45% delle emissioni europee di CO2, o il 30% dei gas serra prodotti in Europa (Communication of the European Commission “EU action against climate change, EU emissions trading — an open scheme promoting global innovation”, Brussels 2005

2 Commenti

  1. il messaggio di prima era un errore, grazie perchè l'articolo è chiarissimo oltre che molto interessante. si possono già vedere alcuni risultati? questo meccanismo è stato utile a ridurre effettivamente la CO2 nei paesi che vi hanno aderito?

  2. ciao Patrizia,
    alle domande che mi fai cercherò di rispondere con altri articoli sull'argomento che troverai sempre nell'arengo. ti posso anticipare però che i risultati sono stati ben al di sotto delle aspettative. nella prima fase dell'ETS il prezzo della CO2 non ha dato sufficienti incentivi economici alla riduzione delle emissioni. in media il livello delle emissioni europee è ancora lontano dai target fissati nel Protocollo di Kyoto.
    a presto

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