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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 37 - 16 Aprile 2008 | 0 commenti

Le biografie non autorizzate di Paolo Villaggio

Lo scorso 3 aprile è uscito in tutte le librerie Storia della libertà di pensiero (Feltrinelli, 2008), l'ultima fatica di Paolo Villaggio.
La commovente dedica riportata in quarta di copertina, “a tutti quelli che non sono stati creduti e che sono stati perseguitati, torturati e uccisi” potrebbe far pensare a un libro che narra la storia di quella moltitudine di uomini che in nome di un ideale hanno sacrificato la propria vita, spiriti nobili volontariamente immolatasi per perseguire il grande sogno della libertà. Storia della libertà di pensiero, di fatto, raccoglie realmente la storia esemplare di alcuni uomini che sono stati in grado di cambiare il mondo, ma che dal loro mondo non sono stati compresi. Personaggi memorabili, capaci di partorire idee che avrebbero modificato la storia del loro tempo, capaci di tendere vero ciò che altri non potevano nemmeno immaginare, capaci di scorgere, nella natura, nell'universo, nell'infinito, verità invisibili agli occhi dei più. Il comico genovese, dunque, ricostruisce le biografie (non autorizzate) di sette grandi personaggi: Socrate, Giulio Cesare, Gesù, Cristoforo Colombo, Savonarola, Giordano Bruno e Galileo Galilei. Ma con quale intento?
Apparentemente sembra che Villaggio voglia rendere onore a questi grandi uomini che hanno pagato a caro prezzo il loro desiderio di libertà di parola, vittime sacrificali di quell'incessante lotta contro gli organi censori al servizio del potere, lotta che attraverso i secoli ha visto la condanna di filosofi, la persecuzione dei cristiani, le torture della Santa inquisizione. Intento nobile, non c'è che dire, ma quanto reale?
In Storia della libertà di pensiero Socrate è dipinto come un pederasta erotomane che impiega il suo tempo a destreggiarsi tra l'amore (poco platonico) verso i suoi allievi e una moglie esasperata, a buona ragione, che lo insegue per mezza Atene. Gesù, invece, è un mezzo vagabondo che girovaga per tutta la Galilea lamentando il cattivo rapporto col padre (quello terreno) che dirige un'impresa di falegnameria. Nonostante ciò al figlio di Dio spetterà la gloria dei cieli e della terra, mentre di un uomo, che predicava il suo stesso amore per il prossimo e che fu crocefisso nel medesimo giorno, a Capri, non si serberà memoria, semplicemente perché quest'ultimo era un povero cristo qualunque, l'altro era proprio quel Cristo.
I protagonisti delle biografie di Villaggio, questi uomini straordinari passati alla storia come simbolo di virtù, sono quindi raffigurati nelle loro sembianze più “umane”, angeli decaduti schiavi di pulsioni infime, che tutto sembrano tranne che un esempio di virtuosismo. Più che eroi intellettuali, sono gli attori di una grande tragi-commedia, adattabile a qualsiasi epoca, in cui tutto ciò che conta e guadagnarsi un posticino all'interno di una società corrotta e perversa. Da quest'affresco ne deriva forse un intento meno nobile da quello palesato nella presentazione dall'autore stesso, ma, a mio avviso, vi si riconosce tutta la tagliente ironia di Paolo Villaggio, indiscutibile maestro nel descrivere la meschinità che si nasconde dietro ogni maschera.

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