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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 39 - 16 Maggio 2008 | 3 commenti

Israele festeggia…

Il 14 maggio 1948 cessa il mandato britannico in Palestina e Ben Gurion, capo del governo provvisorio ebraico, proclama la nascita dello Stato di Israele: l'inizio di una nuova era che avrebbe cambiato il rapporto tra gli stati del Mediterraneo e superpotenze, generando un solco ancora più profondo tra mondo arabo e Occidente. Gli Ebrei conoscono finalmente un proprio stato, concesso come forma di risarcimento dalla comunità internazionale per le sofferenze inflitte dalla follia nazista al popolo eletto, ma per i Palestinesi è l'inizio della naqba, la catastrofe. Quel 14 maggio “

la Palestina cessò di esistere. I suoi abitanti originari, i Palestinesi, furono ribattezzati “rifugiati arabi”, riforniti regolarmente di razioni alimentari dalle Nazioni Unite, e dimenticati dal mondo[1].

Il 14 maggio è una della tante date che si susseguono dalla fine dell'800 a oggi: più di cento anni di contrapposizione, guerre, ingiustizie, terrorismo che hanno drammaticamente caratterizzato il rapporto tra Ebrei israeliani e Palestinesi arabi.

Dopo il rifiuto da parte della Lega Araba del piano ONU del 1947, che avrebbe sancito la nascita in Palestina di uno stato arabo ed uno ebraico, lo Stato di Israele si costituisce in un territorio grande il doppio rispetto a quanto proposto dalle Nazioni Unite, assorbendo metà della Città di Gerusalemme, per la quale era previsto un controllo internazionale. La reazione del mondo arabo fu drastica: non riconoscere l'esistenza e la legittimità del nuovo stato.


Ma come si giunse a quel 14 maggio? E cosa accadde poi?

Una valida spiegazione viene data dal saggio “Palestina 1881-2006 – Una contesa lunga un secolo” in cui si ripercorre la storia della Palestina e del Medio-Oriente, dalle origini del Sionismo ad oggi, attraverso il colonialismo europeo, il nazionalismo arabo, l'invasione di coloni e profughi ebrei, la fondazione di Israele e la nascita dell'OLP,

la Guerra dei sei giorni, l'Intifada, le guerre in Libano. Un saggio storico che concentra la propria attenzione soprattutto su poco note vicende palestinesi; un libro completo, ben documentato, ricco di eventi, curiosità e interessanti riflessioni e punti di vista, oltre ad un ricco glossario che offre un inquadramento storico-politico delle più rilevanti organizzazioni politiche israeliane e palestinesi.

Si tratta di un'opera che al di là delle date, dei fatti e dei documenti, si addentra tra l'altro nella vera essenza dello stato ebraico e, partendo dall'assunto che la religione ebraica è una religione, si chiede indirettamente: è stato giusto trasformarla in una nazione? E ancora: chi sono gli Israeliani di oggi? Quanti tra gli abitanti di Israele discendono effettivamente dalle 12 tribù? Interessante scoprire che parte degli abitanti (ebrei) di Israele, giunti in più ondate dalla Russia, siano i discendenti dei Cazari, popolazione turca seminomade dell'Asia Centrale, stabilitasi poi nel Caucaso, il cui re nel VII secolo si convertì alla religione ebraica e con lui, cuius regio, eius religio, tutti i sudditi, dando vita alla tredicesima tribù d'Israele. A tal riguardo Arthur Koestler, scrittore e filosofo ebreo-ungherese, ridicolizzò le leggi razziali naziste, che colpirono inconsapevolmente persone di pura origine ariana come gli ebrei cazari.

Attraverso riflessioni più o meno condivisibili, il libro aiuta a ragionare e ad analizzare la vicenda israelo-palestinese sotto differenti punti di vista. Ma può anche essere inteso come punto di partenza per interrogarsi sulla legittimità di uno stato ad esistere, tema molto attuale tra Kosovo e Tibet, per esempio. Ha senso parlare di nazionalità religiose? E' giusto o sbagliato costituire oggi uno stato la cui entità giuridica si fonda su concezioni esclusivamente etniche o esclusivamente religiose?

Da sottolineare che l'opera si basa su un'analisi storica e filtraggio critico che concentra la propria attenzione sulle ragioni dei palestinesi arabi, senza però tralasciare quelle degli ebrei, allo scopo di favorire la soluzione di annosi problemi in modo giusto, nel rispetto dei diritti di entrambi i popoli.


Dall'atto della sua fondazione ad oggi, Israele ha dovuto convivere con una perenne situazione di emergenza e di guerra senza eguali, generando una struttura militare, una politica, una legislazione ed una repressione del dissenso uniche nel mondo. Le critiche nei confronti dello stato ebraico sono molteplici: diffuso è l'atteggiamento a non riconoscere il diritto di Israele ad esistere, soprattutto nel mondo arabo (Ahmadinejad in testa) ma anche in occidente (si vedano le recenti proteste alla Fiera del Libro di Torino con ospite d'onore Israele), argomento, almeno per chi scrive, assolutamente fuori luogo ed ormai anacronistico; più condivisibili le proteste contro le violazioni dei diritti umani e la drammatica condizione di non cittadini dei Palestinesi dei Territori Occupati, ai quali è negata una piena cittadinanza, problema anche derivante dal discutibile dogma del sionismo come ideologia di stato.


Si consiglia quindi la lettura: De Leonardis Fabio; “Palestina 1881-2006 – Una contesa lunga un secolo”,

3 Commenti

  1. Innanzitutto, complimenti per l'articolo. Credo che proprio nelle ultime righe si colga uno dei problemi fondamentali che affliggono il rapporto tra ebri israeliani e palestinesi; la condizione di “non cittadini” di questi ultimi si fonda infatti su una vera e propria discriminazione religiosa . La soluzione pacifica tra i 2 popoli non potrà mai verificarsi finchè israele rimarrà imbrigliato nel sionismo; il costitursi di un vero stato laico sarebbe di buon auspicio.

  2. Grazie Guido.
    Il problema c'è e non è marginale: il sionismo come ideologia di stato cui anche tu fai riferimento è alla base di una vera e propria discriminazione. Paradossolmente, così come mi ha fatto notare nei giorni scorsi l'autore del libro, ha più diritti una persona non israeliana convertitasi all'ebraismo che ha acquisito la cittadinanza (grazie alla discutibile “legge del ritorno”) di un profugo palestinese nato in territorio israeliano.
    Si ha l'impressione che Israele, riconosciuta come unica democrazia in Medio-Oriente, distingua cittadini di serie A da quelli di serie B.

  3. Un importante aspetto presente nel libro, che purtroppo viene ignorato nell'articolo, è la menzogna su cui si fonda il colonialismo di Israele: che i territori occupati dai coloni fossero precedentemente vuoti e desertici. Come ben esposto dall'autore la Palestina era uno dei maggiori centri agricoli del mediterraneo, con massicce esportazioni in Francia e Inghilterra!
    Interessante, nell'articolo, l'accenno al Kosovo e Tibet.

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