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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 39 - 16 Maggio 2008 | 0 commenti

Slow Food on Film

 

Prima edizione a Bologna per il Festival Internazionale di Cinema e Cibo, Biennale del cinema enogastronomico che si è sempre svolta a Bra, piccola cittadina nel cuore delle Langhe, gelosa protettrice di profumi e sapori langaroli nonché sede storica dell'associazione promotrice della manifestazione: come quale? su, non è difficile, Slowfood.

Trasloco a Bologna, la quale da grassa com'è ha portato in dote vari regali: una piazza sicuramente più grande, accessibile e prestigiosa (non me ne vogliano i braidesi), culla enogastronica di indubbio e incomparabile valore; la collaborazione con la Cineteca, autentico gioiello felsineo; non da ultime gli importanti patrocini, sponsor e collaborazioni di vario genere: dalle location (oh yeah!) alla zuppa inglese offerta dalla Granarolo.

Festival di indubbio valore e interesse nel quale ho avuto modo di “ascoltare” diverse favole.

Ad esempio il documentario a episodi di Antonio Segre "Dal grano alla pasta".
Una raccolta di racconti dell'Italia negli anni 50-60 e forse (quello sulla Valtellina e i Pizzoccheri) anni '70, che ci raccontano del rapporto viscerale tra l'Italia, la pasta e la sua materia prima, camminando lungo la filiera produttiva. Racconti che ci mostrano la forte ritualità pagana che imperversava fino a pochi anni fa nella "cattolicissima" Italia: in Basilicata, per scusarsi con la natura, si "mascherava" la raccolta del grano con una caccia condotta con falci; il rito finale riguardava lo spoglio del padrone da parte dei contadini, sempre armati di falci: forse che la ritualità pagana sia più democratica di quella cattolica?

Mi ha colpito l'ultimo episodio, quella che riguarda nella terminologia moderna il customer: Ambientato in un paesino pugliese, li maccaroni con li sugo di carne (eccezionale la colonna sonora) rappresentavano il momento più emozionante della settimana, per chi poteva permetterseli ovviamente. Il bambino protagonista dell'episodio  purtroppo appartiene alla categoria delle persone che non festeggiava tutte le domeniche.
Il problema non era solamente nutrizionale ma anche sociale: lo smacco non sussisteva solamente nel dover saltare il tanto ambito e succulento piatto per  ritrovarsi di fronte per l'ennesima volta alle fave (rigorosamente senza maiale!), ma anche il non poter partecipare alla ritualità della festa collettiva incentrata sulla pasta con sugo. Il piccolo protagonista, prima di uscire di casa e raggiungere i compagni al mare, ha pensato bene di sporcarsi la faccia con la conserva per essere come gli amici…siamo poi così cambiati? Non ci sporchiamo la faccia ma il telefonino ultimo modello…

Altra favola che mi ha emozionato è "Alle radici del Barolo". E qui scusatemi, ma è scappata la lacrimuccia (per il sottoscritto l'esperienza enoica è nata nelle bottiglie e colline del Barolo).
Protagonista Teobaldo Cappellano, componente della "Triade" dei Barolisti impegnati in compagnia di Giuseppe Rinaldi e del compianto Bartolo Mascarello.
Cappellano, pur crescendo, beato lui, tra filari di Nebbiolo da Barolo non era soddisfatto del tutto: sentendo raccontare di quanto fosse buono il Barolo pre-filossera (vedi ARENGO n° 23), quindi da una vite totalmente europea senza l'innesto sul piede americano, si è "affinato" coltivando il desiderio di poter assaggiare una bottiglia di Barolo di inizio secolo. Qual'è il problema? Se le procurata da se.
Al posto di costruire una macchina del tempo, si è rimesso in discussione ricreando un vigneto con viti a piede franco.
"Non è vero che la civiltà mediterranea è fondata sul cristianesimo, ma sul vino! un italiano è molto più simile ad un libanase che produce vino piuttosto che a un tedesco che non lo produce" una delle chicche di questo personaggio che non ha lo sguardo posato solo sull'uva; vi consiglio di prendere una sua bottiglia: oltre a bere un vino fantastico, potrete ammirare una delle retroetichette più belle che vi possa capitare di incontrare, una sorta di sogno o visione contadina  di Cappellano.  

Una piccola pausa di riflessione se l'è invece presa il protagonista di "All in this Tea".
Un giovane studente americano rimase particolarmente scosso dall'assassinio di Kennedy.
Armatosi di zaino, decise di partire per un viaggio di soli tre mesi nel sud-est asiatico. Il viaggio è durato dieci anni, portando il protagonista in contatto con popolazioni nomadi, col Dalai Lama, con culture e civiltà molto distanti tra loro, ma accomunate da un unico elemento: il Tè.
Questo ex studente si è quindi involontariamente ritrovato a diventare un autentico cultore della pianta da tè imparando a conoscerne qualità, provenienza e lavorazioni.
Il documentario ci ha anche mostrato come la difesa della qualità e della non omologazione del gusto è un problema non solo europeo: ad esempio anche nella Cina del boom economico, i contadini che coltivano il tè secondo i dettami della tradizione, fanno non poca fatica a trovare aquirenti per la loro prelibatezza, incontrando generalmente o grandi cultori squattrinati o grandi mercanti che non distinguono il tè dalla rucola.

Infine, scusandomi per la logorrea, ma quando si parla di favole sono il primo a correre nella valle dei sogni (o del grano? non ricordo bene), vi racconto di "Storia di terre e di Rezdore"di Antonio Cherchi e Nico Lusenti.
Anzi, più che scrivere io, faccio parlare i protagonisti.
"Le mucche non sono tutte uguali e non è solo la razza a fare la differenza, ma quello che mangiano: una vacca sa del suo contadino"
"Guardate che bella, questa è come miss italia: 90-60-90"; la rezdora si riferisce alla pancetta che sta accarezzando…
"La rezdora (n.d.r. l'equivalente della sdaura bolognese, della arzdora romagnola e della zdora ferrarese), è la reggitrice del focolare…colei che teneva le chiavi della dispensa, non sempre quella della cantina perché sa, i mariti bevono".
Oltre 200 ore di interviste a contadini, rezdore e protagonisti della provincia modenese, raccolti in 40 minuti.
Un importantissimo lavoro di recupero e salvaguardia di un mondo in via di estinzione, nonché un raccoglitore di perle di inestimabile valore.

La speranza è che Nico & Co ci mostrino molto del materiale raccolto, magari sviluppando i temi che compongono il filmato: il grano, le ciliege, le castagne, i funghi, il formaggio, il vino…. e non da ultimo che ognuno di noi si armi di telecamera, carta e penna e salvaguardi le proprie origini.

Per non essere mai scambiati per rucola!

 

 

 

 

 

 

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