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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 44 - 1 Agosto 2008 | 0 commenti

E tu, sei felice?

Nel 1929 Freud si chiedeva qual'era lo scopo della vita degli uomini e scriveva: “non è difficile rispondere. Gli uomini aspirano alla felicità, vogliono divenire felici e rimanere tali”. Il principio di piacere indicava il fine dell'esistenza. Ma, scriveva poi, “se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all'aggressività dell'uomo, allora intendiamo meglio perché l'uomo stenti a trovare in essa la sua felicità. Di fatto l'uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L'uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po' di sicurezza”.
La civiltà, per Freud, era lo strumento che l'uomo aveva creato per garantire il controllo dei suoi istinti e la loro sublimazione in attività socialmente accettabili.
Il padre della psicoanalisi, colui che aveva dimostrato al mondo l'esistenza della sessualità infantile e della rimozione sessuale, sosteneva che la felicità era in contrasto con l'ordinamento del mondo e il destino dell'uomo era l'infelicità. La civiltà dominava l'individuo e la sua aggressività, facendolo sorvegliare da un'istanza al suo interno: il Super-Io.
L'unica felicità possibile era rappresentata dall'equilibrio tra principio di piacere e principio di realtà e, per giungere a tale equilibrio, l'uomo necessitava di sforzo, impegno e sofferenza.
Queste convinzioni sulla felicità derivavano dalla teoria pulsionale di Freud per cui la natura umana è costituita da due impulsi principali: Eros e Thanatos, le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Solo l'istinto di morte poteva dare spiegazione dell'origine dei mali che affliggevano l'umanità.
Era impossibile pensare ad una felicità individuale disgiunta da quella collettiva e dal tessuto storico e sociale. L'aspirazione al piacere non poteva venire sradicata, non bisognava influire neanche sul disordine sociale, ma sulla pulsione alla felicità. Il prezzo da pagare per la sicurezza garantita dalla civiltà non era la semplice repressione delle pulsioni naturali, ma una vera e propria trasformazione della personalità: con l'insorgere del Super-Io l'infelicità era divenuta parte dell'Io.Quale modo migliore per uscire da questo problema se non teorizzare l'esistenza di un istinto autodistruttivo dentro ognuno di noi?
Esistono altre vie da percorrere per realizzare lo stato di benessere e di appagamento a cui l'uomo tende naturalmente?
Negli anni in cui la morale determinava la struttura socio-economica e la repressione sessuale borghese agiva a livello inconscio producendo sensi di colpa, Reich, rifiutando l'esistenza di un istinto di morte, rispondeva che la via per la felicità era la rivoluzione sessuale intesa come la libera espressione dell'uomo senza vincoli di moralismo sessuale e misticismo religioso.
Reich scriveva “che l'economia senza una struttura emozionale umana attiva era inconcepibile e così il sentimento, il pensiero o l'azione umani senza base economica. Trascurare l'uno o l'altro di questi aspetti conduceva o al psicologismo o all'economismo.” Bisognava “capire le reciproche relazioni tra gruppi di persone, natura e macchine”, questo avrebbe portato al benessere tanto auspicato.
Ma oggi ce l'abbiamo fatta? Siamo felici? Cosa rende o renderebbe felici le persone?
La classifica mondiale della felicità, contenuta nel Word Database of Happiness, ordina 95 paesi in base all'autovalutazione della felicità che propri cittadini ne fanno su una scala che va da 1 a 10. La classificazione ci dice che i più felici sono i danesi (con 8.2), seguiti dagli svizzeri (8.1), dai colombiani (8.1), dagli austriaci (8) e dagli islandesi (7.8); invece, i meno felici sono gli abitanti della Tanzania (3.2), dello Zimbawe (3.3) e della Moldavia (3.5). Gli italiani (con un punteggio di 6.9) insieme agli spagnoli, si collocano appena sopra la sufficienza.
In generale le nazioni ricche superano il sei, per esempio tutti i paesi scandinavi hanno punteggi alti, mentre le nazioni povere hanno punteggi al di sotto del sei ad eccezione di alcuni paesi dell'America Latina: questa graduatoria ci dice come la felicità non sia necessariamente legata al tenore di vita; e che spesso la percezione della soddisfazione della propria esistenza è legata ad altro.
Ci auspichiamo una società felice nel suo complesso con un'educazione, una cultura e dei comportamenti che dovrebbero contribuire alla costruzione di una società globalmente più felice, che, di conseguenza, incrementerebbe la felicità dei singoli individui. Ma, la civiltà contemporanea ha profondamente assorbito la concezione per cui la felicità è la massimizzazione dell'utilità individuale: le persone ragionano in termini di individualismo e non di cooperazione.
Alcuni studi sostengono che una visione ottimistica è fonte stessa di felicità: lo stato di benessere non dipende dai reali contesti di vita e da quello che obiettivamente è successo nelle nostre biografie, ma da un certo modo di descriverle, interpretarle e spiegarle.
Altri studi mettono in luce come le persone felici hanno una buona rete di amicizie, hanno fiducia in sé stesse, hanno la sensazione di avere un buon controllo di sé e del proprio futuro, sono persone socievoli e dinamiche, difficilmente sono ansiose e preoccupate.
La felicità, quindi, non sembra il raggiungimento di mete oggettuali, di obiettivi come il denaro e il successo ma un senso generale di appagamento e forse anche qualcosa di assolutamente soggettivo che non può evitare di fare i conti con la società che ci circonda, perché non c'è processo socio-economico che non sia ancorato alla struttura psichica delle persone e che non si esprima con il loro comportamento.
La felicità è aprirsi alla vita, poter essere liberi di esprimersi e vivere una condizione di benessere psichico e sociale.
In società frustrante come la nostra, dove si annega tra gli antidepressivi per avere la sostenibilità necessaria, forse solo le relazioni umane hanno la chiave della felicità e la solitudine affettiva rappresenta la più acuta forma di infelicità.
Freud S. (1971) Il disagio della civiltà Bollati Boringhieri, Torino.
Reich, W. (1969) La funzione dell'orgasmo SugarCo, Milano.
Legrenzi P. (1998) La felicità Il Mulino, Bologna.

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