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Scritto da nel Intervista, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 0 commenti

Bhagwati 1 – sul liberismo

Lei probabilmente è stato l'economista più influente che appoggia la liberalizzazione dei mercati. Che cosa pensa della forma nella quale le riforme per la liberalizzazione dei mercati sono state portate a termine? I benefici delle stesse sono stati maggiori o minori rispetto a ciò che ci si aspettava? Forse ultimamente lei è diventato un po' scettico riguardo al liberalismo.
Beh, ci sono due aspetti che bisogna distinguere. Uno è il commercio internazionale e gli investimenti, il secondo è, se si usa il settore privato o quello pubblico. Il privato risponde meglio alle forze del mercato, anche se, entrambi possono essere efficienti o inefficienti. Quello che li differenzia è che nel privato, la gente che commette errori finisce per uscire dal mercato, mentre nel pubblico, a causa dei sussidi questi errori non si correggono. Il problema c'è quando il settore pubblico ha accesso ai sussidi. Voglio che sia chiaro che io non sono un liberale nel senso che non credo solo nell'uso dei mercati. Nonostante ciò, credo che bisogna usarli di più, e quello che è più importante, l'uso deve essere più giudizioso. Una critica che generalmente facevo ai paesi in via di sviluppo è che c'è troppo interventismo, la mano invisibile di Adam Smith non si può vedere in nessun lato. Comunque, credo che questo stia cambiando, la gente si è resa conto che intervenire spesso può causare problemi. Con questo bisogna essere cauti, la prima opzione per i paesi che vogliono svilupparsi generalmente è agire tramite il governo. I grandi paesi africani hanno fatto questo, Egitto, Nigeria, Ghana, però a me sembra che abbiano esagerato e che nessuno di loro sia cresciuto.
Perché crede che gli economisti come lei siano tanto influenti nella politica, a differenza di quello che succedeva nel XIX secolo? La influenza del liberalismo è stata appoggiata da livelli di profitto sempre maggiori nell'epoca post-industriale? Se questo è così, crede che i paesi con livelli di profitti minori si trovano in una “trappola di povertà” nel senso che si trovano in una situazione peggiore per accettare riforme liberali?
In realtà non credo questo. Il mio antico professore predicava un'idea sugli investimenti. Questa diceva semplicemente che se io sono un impresario che produce 100 camicie, probabilmente i miei operai ne compreranno 10. In ogni caso ne rimangono ancora 90 da vendere. Allora, se non c'è un'altra persona che investa sulle scarpe, perché i suoi operai comprino le miei camicie e i miei comprino le sue scarpe, il sistema non funziona. Ci deve essere una crescita bilanciata, dobbiamo ideare un piano nella quale si investa in diversi settori in modo da poter coprire l'offerta di tutti i produttori. Se non c'è questo, l'investimento di una sola persona non migliorerà la situazione.
L'argomento di Hernando de Soto è che la gente povera non può investire per mancanza di collaterali (n.d.r. garanzie finanziarie necessarie ad ottenere un mutuo). Non hanno collaterali perché non possiedono i titoli di proprietà dei luoghi dove vivono. Quindi, se si stabiliscono chiari sistemi di proprietà, allora, queste terre potranno avallare prestiti. Abbiamo proposto questa idea ad alcune banche, e a dire la verità, non gli piaceva molto l'idea di appropriarsi di un paese giovane nel caso in cui ci fosse un prestito non pagato. Senza dubbio, quella di Hernando è un'idea interessante.
In più, voglio sottolineare che non credo nelle trappole, il mondo è pieno di Houdini che riescono ad uscirne. Certo, l'Africa è un esempio abbastanza più complicato, ma questo perché ha problemi come l'AIDS e la malaria. Un'alternativa può essere concentrarsi sulla salute, decidere che questo è quello che si deve combattere realmente, e il resto troverà una soluzione aprendo l'economia, applicando riforme del sistema lavorale e dando opportunità per le esportazioni. Questo non richiede un piano di investimento complicato.
Traduzione di Angelo Valenza

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