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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 52 - 16 Dicembre 2008 | 0 commenti

Il microcredito tra virtù e limiti

Nell'Aprile 2008 James Surowiecki, giornalista e scrittore, ha pubblicato un articolo sul New Yorker dal titolo “I limiti del microcredito”. La critica principale rivolta da Surowiecki al microcredito consiste nel fatto che le sue potenzialità per lo sviluppo di un Paese e la lotta alla povertà sarebbero state sopravvalutate negli ultimi anni. Le ragioni sarebbero diverse: innanzitutto, il fatto che punti solo sulle microimprese e non su quelle medio-piccole, in quanto le prime non creano posti di lavoro al di là di quello del titolare; il fatto che i prestiti siano spesso utilizzati per mantenere un certo livello di consumo più che per un investimento; infine, non tutti sono adatti o portati a fare gli imprenditori, per cui la visione alla base della microfinanza sarebbe, in un certo senso, un miraggio.

Alcune di queste osservazioni sono condivisibili, non in quanto critica al microcredito in sé, ma al modo in cui esso è stato interpretato ed attuato in molti contesti. Affrontare questo discorso per i Paesi industrializzati e quelli in Via di Sviluppo richiederebbe due analisi ben distinte, e per questo motivo, per necessità di sintesi e maggiore rilevanza rispetto al contesto italiano, mi concentrerò esclusivamente sui problemi legati alla pratica del microcredito nelle economie avanzate.

E' evidente che non tutti possono essere imprenditori: per questo motivo è fondamentale, per una istituzione di microfinanza, puntare molto sul processo di selezione degli utenti. Quelle persone che si trovano in uno stato di povertà estrema, in cui i bisogni primari non sono soddisfatti, non sono adatte al microcredito. Solo dopo essere usciti dall'emergenza quotidiana si può pensare di avviare una attività in proprio. E' per questo che il microcredito non dovrebbe essere inteso come una alternativa ai servizi sociali, ma come un complemento. Purtroppo, invece, da parte di osservatori superficiali (ma mai da parte di chi lavora nel settore) il microcredito è visto come la panacea di tutti i mali, con una sorta di potere riabilitativo sui singoli e di leva sul Prodotto Interno Lordo di un Paese. Chi lavora sul campo, invece, è consapevole di quali siano i contesti in cui questo strumento funziona bene e quali quelli in cui non è applicabile.

Il microcredito, come dice la parola stessa, agisce al livello micro, quello degli individui e delle piccole comunità, e permette di aumentare il reddito e stimolare l'attività economica, contribuendo così al miglioramento delle condizioni di vita per le persone e i gruppi coinvolti. Prima che un programma di microcredito abbia un impatto significativo su una comunità passano diversi anni: per questo motivo, è difficile valutarne l'impatto. Allo stesso tempo, però, presenta risultati ben più tangibili rispetto a tanti contributi a pioggia che arrivano su territori in difficoltà a cui siamo tristemente abituati.

Le microimprese avviate o ristrutturate tramite il microcredito hanno bisogno di tempo per stabilizzarsi e, a maggior ragione, per crescere. Ma questo è uno dei principi alla base dell'attività d'impresa: le grandi imprese non nascono dal nulla, sono evoluzione di organismi più piccoli che, affermandosi sul mercato, crescono gradualmente. Il microcredito offre esempi di successo di questo genere, dal Bangladesh alla Francia. Per stimolare l'imprenditorialità è necessario dare credito alle idee e alle capacità individuali, e purtroppo sono proprio i progetti di microimpresa che hanno più difficoltà ad accedere ai servizi finanziari.

Il prestito è poi finalizzato all'investimento in attività d'impresa: è compito delle organizzazioni assicurarsi che l'utente lo utilizzi per il fine accordato. Se davvero, come sostiene Surowiecki, il microcredito è diventato “popolare e perfino chic”, ebbene, purtroppo a tale boom di popolarità non è corrisposto un uguale aumento di consapevolezza di cosa sia effettivamente. E cioè, non un contributo per arrivare a fine mese, ma un investimento per generare un reddito, con il quale ripagare il prestito. In questo modo si può evitare che, a causa di un fraintendimento, si finisca per indebitare famiglie e individui già in difficoltà senza che questi siano in grado di far fronte alla restituzione. Altri tipi di strumenti, anche a carattere creditizio, possono essere utilizzati per questi casi, ma sono sempre condizionati al fatto che le persone coinvolte non si trovino in una situazione di illiquidità cronica.

In definitiva, il microcredito non è il punto d'arrivo delle politiche di sviluppo locale e cooperazione sociale ed economica: è un punto di partenza. Allo stesso tempo, non è possibile attribuire al microcredito in sé limiti che in realtà sono legati al fatto che alcuni soggetti lo abbiamo attuato in modo improprio, alla presenza di innumerevoli ostacoli burocratici, o alla scarsa concorrenzialità del mercato.

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