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Scritto da nel Internazionale, Numero 52 - 16 Dicembre 2008 | 0 commenti

La protesta greca





In Grecia scoppia la rivolta. Partita da Atene si è propagata in diversi altri punti del paese: Salonicco, Patrasso, Corfù e Creta. Il contagio ha coinvolto anche le ambasciate greche di alcune grandi città europee, vedi anche Torino e Milano. Tra i “rivoltosi” molti studenti: l'epicentro del terremoto sociale è diventato il Politecnico di Atene, insieme al quartiere di Exarchia. Luoghi mitici, perché proprio da lì, proprio dagli studenti partì la rivolta che, con un costo di vite altissimo, travolse il regime dei colonnelli, 35 anni fa.
In questo caso però non si tratta di un movimento esclusivamente studentesco perché agli studenti si sono uniti molti altri: lavoratori, precari, disoccupati. Le manifestazioni sono composte da gruppi della cosiddetta sinistra radicale, accompagnati da gruppi anarchici, quest'ultimi movimento politico ben radicato in parte della cultura greca, vedi G8 di Genova.

L'episodio scatenante sa di passato ma è quanto mai presente: la morte di un 15enne, ad Atene, nel quartiere di Exarchia, ucciso da un poliziotto, in seguito allo scontro fra un gruppo di studenti e una pattuglia della polizia. L'episodio, è la miccia che provoca un'esplosione a catena. “Le pallottole della polizia sono magiche, sparano in aria e colpiscono nel cuore”, recitava così uno slogan durante una delle tante manifestazioni. Ed è facile, anche se discutibile, per questo, accostarlo ad altre “rivolte” che hanno investito le metropoli europee negli ultimi anni, anche se con modalità e contesti diversi, come Genova con il tragico epilogo della morte di Carlo Giuliani.
L'esplosione di rabbia delle banlieue francesi nell'autunno del 2006. Anche in quel caso il motivo scatenante è lo stesso: l'uccisione di un ragazzo in una colluttazione con la polizia. Da cui la spirale di violenza che ha travolto per settimane le periferie di Parigi, per propagarsi presto ad altre metropoli francesi. La stessa dinamica si ripropone un anno fa, a Villiers-le-Bel, nella banlieue Nord di Parigi: la morte di due ragazzi in moto, investiti da un'auto della polizia, cui segue una spirale di violenza. In modo drammatico, visto che in pochi giorni si contano oltre cento feriti, perlopiù tra forze dell'ordine. In Grecia studenti che si mobilitano in centro storico, avversi ai palazzi del potere, la maggioranza di destra. In Francia: francesi di seconda generazione; giovani socialmente periferici che abitano le periferie più povere e inospitali. I bersagli: i simboli della cittadinanza negata. Auto, centri sociali, biblioteche. In entrambi i contesti, però, si tratta di “giovani”. E la violenza investe i simboli di un sistema che si regge e si rappresenta attraverso i consumi. In entrambi i casi, ancora, lo scontro avviene con la polizia, simbolo controverso, di uno stato opprimente e autoritario.

La rivolta di Atene, per certi versi, richiama le mobilitazioni che attraversano l'Italia da alcune settimane. Le differenze, in questo caso, sono però ancor più evidenti. Perché in Italia la protesta giovanile non nasce da un episodio violento e non ha assunto toni violenti. Perché ha fini per alcuni politici per altri invece, si chiamano diritti. I provvedimenti del governo in materia di scuola e università. Tuttavia, fra le mobilitazioni vi sono altri punti di contatto. In Italia come in Grecia i protagonisti sono gli studenti, i teatri le università. In Grecia come in Italia la popolazione studentesca era da tempo in ebollizione, anche se poi in Italia “sbollisce”, o per lo meno non sfocia in guerriglia; ma un opposizione aperta contro la riduzione delle risorse e degli investimenti sulla scuola pubblica.
Il denominatore comune di queste esplosioni sociali sono i giovani, figli di una società vecchia e in declino, da un sistema politico inefficiente e molte volte corrotto. Schiacciati in un presente senza futuro: costretti a una flessibilità che fa rima con precarietà.
La violenza, l'unico modus operandi rimasto per gridare la propria esistenza: studenti, precari, passionari di politica e antipolitici: nessuno sembra vederli, così accendono le città.

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