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Scritto da nel Numero 52 - 16 Dicembre 2008, Politica | 0 commenti

Partito Democratico: una “costruzione protetta”

La linea di un partito non è un uovo che si espelle bell’e formato: è qualcosa che si elabora attraverso una serie di approssimazioni”. L’esperta saggezza di Giorgio Amendola non è solo datata 1974: l’osservazione vale in modo molto più generale di fronte agli occhi approssimativi degli osservatori esterni di un partito, così come a quelli più rapaci della parte di dirigenza del Partito Democratico che ha ottenuto per il 19 dicembre la convocazione del direttivo nazionale. Obiettivo: la contestazione della linea politica attuale e dunque la più o meno esplicita sfiducia all’attuale segretario, Walter Veltroni, mediante congresso nazionale. Dopo poco più di un anno di vita, il nuovo partito affronta già la sua prima crisi politica fondamentale. Non c’è davvero male come segnale di affidabilità del prodotto.

Le questioni disgreganti non mancano, effettivamente. Dalla cosiddetta questione morale, che travolge la classe politica locale del partito e chiama in causa la mancata applicazione del codice etico per gli amministratori, punto su cui il “partito nuovo” si gioca la faccia; l’(in)azione della leadership corrente; alla disarmante indecisione – a pochi mesi dalle elezioni per il Parlamento Europeo – riguardo alla collocazione europea del PD, che mette in discussione prima di tutto l’identità collettiva stessa del partito; e poi il perdurare di una blanda riconoscibilità programmatica specifica: cosa contraddistingue esattamente il PD in termini di concreti indirizzi politici dalle politiche attuate dal governo Berlusconi ancora non è perfettamente dato sapersi. Oltre ad esprimere una serie di critiche di sentimento comune alle decisioni del centro-destra, il PD è lontano dalla credibilità nell’assumere un ruolo di guida dell’opposizione.

L’elenco delle lamentele potrebbe continuare, ma la domanda è: basterebbe un cambiamento di leadership a risolvere tutti questi enormi problemi? È Veltroni la madre di tutte le disgrazie, o la fase che attraversa il PD è tale che sarebbe meglio risparmiare le energie per riflettere sulle debolezze strutturali e strategiche e rimandare il giudizio sulla segreteria a tempi più appropriati? E ancora, le spalle del PD sono in grado di reggere una divisione interna senza che la schiena si spezzi?

Vale la pena ricordare di cosa stiamo parlando. Il Partito Democratico rappresenta un progetto di portata storica per il sistema politico del nostro Paese: si tratta prima di tutto dell’unificazione di due grandi e profonde culture politiche – quella cattolica sociale e quella socialista (sic) – con forti implicazioni tanto nella organizzazione dell’intero apparato quanto nella scelta della linea politica per le questioni quotidiane più dirimenti. Nessuno si poteva ragionevolmente aspettare che la fusione tra DS e Margherita avvenisse di punto in bianco all’atto di fondazione del partito. Nessuno si può meravigliare che la pesante eredità dei due partiti precedenti e delle loro classi dirigenti non abbia strascichi perduranti nel breve-medio periodo.

In breve, come Amendola può contribuire a ricordare, la costruzione della condotta politica pratica del PD è un processo, non un prodotto meccanico.

Il progetto su cui il PD è nato si fonda – nel bene e nel male – sulla leadership di Walter Veltroni, il quale più di chiunque altro rappresenta l’essenziale continuità del processo di costruzione del “partito nuovo” in questo particolare periodo, come minimo per il grado della sua esposizione personale. Pur con tutte le sue debolezze strategiche e carismatiche, Veltroni non ha al momento uno sfidante dichiarato che non sia un esponente irrimediabilmente legato alla fase non-PD e la cui segreteria non produrrebbe, sia nella classe dirigente che tra gli elettori, effetti di polarizzazione distruttivi per la fragilità strutturale del partito.

I possibili leader del futuro lavorano sotto lo scudo della figura veltroniana che funge suo malgrado da parafulmine in un periodo in cui qualsiasi personalità verrebbe sottoposta ad uno stillicidio letale di dissensi e critiche. Scoperchiare ora questo tetto, denuderebbe ulteriormente le fondamenta stesse del PD, una costruzione che non può che necessitare di un certo grado di “protezionismo”, un po’ come per i settori nascenti di un’industria in uno Stato.

In questa imprescindibile fase di transizione verso l’identità specifica del PD contestare radicalmente la leadership è una strategia suicida perché intempestiva e altamente divisiva. Un Congresso potrà essere più legittimamente convocato almeno dopo le elezioni Europee, alla seconda prova elettorale per il progetto politico sostenuto da Veltroni. Così si permetterà di risparmiare forze per la formulazione di proposte seriamente alternative a quelle del Governo, oltre che a leader più credibilmente Democratici di preparare meglio una propria eventuale candidatura alla successione. Nel frattempo, è non solo legittimo ma anche doveroso esprimere dissenso su alcune scelte e soprattutto non-scelte politiche dell’attuale Segretario.

 Il partito apparentemente monolite esiste solo dall’altra parte: ma i nodi verranno prima o poi al pettine, stiamone sicuri.

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