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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 67 - 1 Marzo 2010 | 1 commento

Immigrazione, criminalità, carceri: dalla percezione ai fatti

Immigrazione, criminalità, carceri: dalla percezione ai fatti

Il collegamento tra immigrazione e criminalità è uno degli elementi più forti e stabili dell'immaginario collettivo degli italiani negli ultimi 20 anni.[1] Ad oggi circa il 60% dei cittadini ritiene che l'aumento degli immigrati presenti sul territorio abbia generato un incremento della criminalità, ed in molti li ritengono una minaccia alla propria incolumità personale ed alla propria sfera privata. In fondo, quando Silvio Berlusconi ha affermato pubblicamente che “meno immigrazione significa meno criminalità” non ha fatto altro che utilizzare strumentalmente questa percezione diffusa.[2]

Tutto bene, salvo che la percezione degli italiani (e di Berlusconi) è totalmente svincolata dalla realtà dei fatti. Innanzitutto, non esiste alcuna relazione statistica tra numero di immigrati e numero di crimini commessi sul territorio. A livello nazionale vale quanto ci mostra il grafico qua sotto, che riportiamo da uno studio di Bianchi, Buonanno e Pinotti: mentre il numero di permessi di soggiorno è cresciuto enormemente negli ultimi anni, il numero di crimini compiuti è rimasto sostanzialmente costante.



Se si disaggrega il dato nazionale a livello provinciale il risultato non cambia: l'aumento della quota di immigrati sulla popolazione locale non causa un aumento del numero di crimini.[3] Né infine si può affermare che, come in molti dicono, gli stranieri abbiano una “maggiore propensione” a commettere reati: la percentuale di immigrati regolari denunciati è pari alla loro quota nella popolazione italiana (5%).[4]

Il principale argomento che viene utilizzato per sostenere la tesi del legame tra immigrazione e criminalità è che la gran parte dei detenuti nelle carceri italiane non è cittadina della Repubblica. Anche questo argomento è semplicemente sbagliato. È vero che una quota importante dei detenuti non è italiana (il 37% alla fine del 2008), ma è un errore pensare che questo ci dica qualcosa della “criminosità” degli immigrati. Sono molti i fattori che spiegano il gran numero di immigrati carcerati e nessuno di questi ha a che vedere con la loro presunta maggiore “propensione al crimine”: gli immigrati, soprattutto irregolari, sono più facilmente detenuti in carcere perchè sono più facilmente privi di riferimenti esterni dove possono essere messi agli arresti domiciliari; il loro status economico e giuridico fa sì che la difesa di cui godono sia spesso di peggiore qualità o più difficile rispetto alla difesa degli imputati italiani. Vi è poi la cosiddetta “discriminazione statistica”: se si sa (o si presume sbagliando) che un certo gruppo della popolazione commetta più reati, e questo gruppo è facilmente identificabile dall'aspetto esteriore e dai tratti somatici, allora è più efficiente per le forze di polizia sottoporre a maggior controllo gli appartenenti a questo gruppo rispetto al resto della popolazione. Come risultato il numero di denunce a carico dei membri della minoranza sarà maggiore rispetto a quello del resto della popolazione.

Di fronte a questi fatti statistici ed a queste spiegazioni, la vera domanda non è più se gli immigrati facciano aumentare la criminalità, ma piuttosto come mai i cittadini italiani continuino a pensare che sia così. A questa domanda risponde la ricerca effettuata con cadenza annuale da Demos.Pi-Fondazione Unipolis. Essa confronta l'andamento della percezione dell'insicurezza tra i cittadini italiani con l'andamento dei fattori di insicurezza reali (il tasso di criminalità) e indotti (il numero di notizie riguardanti fatti di criminalità nei telegiornali). Ciò che emerge con grande evidenza è che la percezione dell'insicurezza dei cittadini nei confronti degli immigrati sia determinata totalmente dai media, ed in particolare dalla televisione. Il flusso di notizie che parlavano di violenze e crimini ad opera di stranieri immigrati ha determinato un incremento dell'insicurezza sociale fino al 2007, così come la riduzione dell'allarmismo che caratterizza i telegiornali nell'epoca della pax berlusconiana ha ridotto la percezione di una minaccia imminente negli ultimi due anni. Sotto questa luce possiamo comprendere anche il messaggio mediatico del Presidente del Consiglio sul tema immigrati/criminalità: Berlusconi non stava leggendo in modo sbagliato la realtà, ne stava creando una alternativa.

Se però non guardiamo all'immigrazione come elemento di consenso politico ma ci interessa la questione nella sua realtà sociale, allora il tema che merita di essere approfondito è quello delle politiche pubbliche che possono essere implementate per ridurre il numero di crimini commessi da immigrati. Anche in questo caso, un'analisi oggettiva dei dati può portare a conclusioni sorprendenti.

Oltre ai dati già citati, è da ricordare qui che uno studio di prossima pubblicazione[5] mostra come la propensione a delinquere e la recidività degli immigrati rumeni successivamente all'ingresso della Romania nell'Unione Europea (che ha esteso lo status legale a tutti i rumeni) è diminuita drasticamente rispetto a quella delle altre nazionalità.La propensione a delinquere degli immigrati sembrerebbe, perciò, dovuta alla condizione stessa di illegalità.

E' allora lecito interrogarsi sugli effetti che le politiche migratorie possono avere sul numero di crimini commessi dagli immigrati presenti sul territorio. Innanzi tutto, politiche restrittive non implicano minor numero di immigrati ma, generalmente, maggior numero di clandestini. Infatti vengono attuate a fronte di domanda di lavoratori immigrati che è sempre positiva e sono associate ad un alto livello di tolleranza nei confronti del lavoro nero. Esse, quindi, aumentando il numero di irregolari, incidono negativamente sul tasso di criminalità. In primis, perché la condizione di “illegale” peggiora le condizioni economiche degli immigrati. Basti pensare agli effetti che la difficoltà a richiedere ed ottenere un permesso di soggiorno genera sulle potenzialità di guadagno nel mercato del lavoro regolare e, quindi, alle sue possibilità di ottenere anche tutele in quanto lavoratore. In secondo luogo, perché l'assenza di diritti di cittadinanza pone l'immigrato in una situazione di estraneità rispetto al contesto sociale nel quale vive, andando ad incidere sul suo stesso essere uomo.[6] Essere privati di un'identità sociopolitica, non sentirsi parte di una società – che in una qualche misura è capace di esercitare anche un controllo sulla propensione a delinquere – può rendere l'immigrato più atto a commettere reati.

Sembra allora che, per combattere quella parte di criminalità legata alla presenza degli immigrati, la via da percorrere non debba essere tanto quella legata a politiche migratorie restrittive, quanto piuttosto l'attuazione di politiche di reale integrazione degli immigrati. Questa strada passa anche attraverso la distruzione della cultura basata sulla paura del diverso e sulla definizione negativa della nostra identità, attraverso la creazione di un nemico, di un “altro da noi” da tenere lontano.




[1] E non solo tra gli italiani: si veda ad esempio l'inchiesta condotta in molti paesi dell'Unione Europea elaborata dall'ISSP –

[2] La frase pronunciata è: “La riduzione degli extracomunitari significa anche meno forze che vanno ad ingrossare le schiere delle organizzazioni criminali”

[3] Cfr. M. Bianchi, P. Buonanno e P. Pinotti (2008) Do immigrants cause crime? - disponibile online all'indirizzo

[4] Il dato riguarda i soli regolari, poiché ovviamente manca il dato sul numero di irregolari sulla popolazione italiana.

[5] Gli autori sono Giovanni Mastrobuoni (Università di Torino – Collegio Carlo Alberto) e Paolo Pinotti (Banca d'Italia).

[6] L'idea del rovesciamento del rapporto tra uomo e cittadino viene proposta da Balibar e ripresa da Zizek.

1 Commento

  1. Bella analisi!

    Sarebbe interessante anche un paragone con il sistema statunitense, dove la sicurezza non è certamente trascurata. Di fatto, una volta che un cittadino straniero si ritrova illegalmente in territorio US, questo non viene espulso per il fatto di non avere un permesso di soggiorno, ma lo sarà solo nell'eventualità che commetta un reato. La differenza dei due approcci risiede nel fatto che da noi un immigrato clandestino è immediatamente identificato come fonte di problemi, mentre negli Stati Uniti come fonte di opportunità su cui ampiamente si è costruita e si construisce la loro economia.

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