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Scritto da nel Numero 67 - 1 Marzo 2010, Politica | 0 commenti

La misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro è una ingiustizia

Innanzitutto credo sia necessario presentarmi, mi chiamo Massimo Ballone sono nato nel 1961 ed ho passato metà della mia vita in carcere. Con il carcere e nel carcere mi sono laureato. Dico e scrivo queste cose non per pomposa introduzione ma semplicemente perché nonostante intenda di carcere e di andamenti restrittivi, nulla sapevo sulla misura di sicurezza detentiva della Casa di lavoro e del suo micidiale meccanismo fino a quando non ci sono finito dentro una volta scontata la pena che mi era stata inflitta nel lontano 1986. Mi sono reso conto così che tutti quelli che vi sono sottoposti subiscono una ingiustizia e pertanto una ingiusta detenzione. Ma andiamo per ordine: cos'è la Casa di lavoro? Rispondere a questa prima domanda risulta abbastanza banale, formalmente si tratta di una misura di sicurezza personale applicata a soggetto ritenuto pericoloso. Questo avviene per lo più a seguito di una sentenza e sotto forma di pena accessoria. Formalmente è questo, ma nella sostanza ci si trova di fronte ad una delle più sintomatiche anomalie del nostro vecchio e complicato codice penale che, non va dimenticato, risale appunto al 1930. Una anomalia tuttora in vigore che a differenza di tante altre giustamente e faticosamente soppresse è rimasta tale e quale com'era all'epoca del Ventennio fascista quando fu appunto concepita. Inizialmente sorta per meglio strutturare un sistema penale che avesse anche una sua parte preventiva volta principalmente a sorvegliare soggetti a rischio, nel tempo si è evoluta acquisendo una essenza rieducativa molto vicina a quella della detenzione apparendo per ciò sempre più come una duplicazione sanzionatoria della pena inflitta. Fra l'altro i primi a saggiarne l'aberrante meccanismo furono proprio gli oppositori di quel regime che la Repubblica hanno poi fatto, ovvero quelli che successivamente e con forza una volta venutine fuori dissero: mai più!.
Ora fin dal fatto che venga per lo più applicata in sentenza, questa misura sanzionatoria è suscettibile di anticostituzionalità in quanto la sovrapposizione alla pena già inflitta di un'altra pena (definita ingannevolmente misura di sicurezza) sostanzialmente identica appare in contrasto con il dettato costituzionale secondo cui nessuno può essere condannato se non per un reato espressamente previsto dalla legge ed effettivamente commesso. Una pena aggiunta che risulta pertanto non solo ingiusta ma anche psicologicamente molto più snervante di quella ordinaria perché chi ne è destinatario avverte su di sé tutto il peso di una detenzione (di fatto illegittima) assolutamente non riconducibile ad alcun reato da lui commesso. La misura di sicurezza detentiva è infatti applicabile sia a persona che ha commesso reato quindi cumulativamente in sentenza, sia a persona che non ne ha commesso per ciò non imputabile ma che per storia personale o solo per averne commessi in passato si suppone ne possa commettere altri e per questo, solo per questo, rinchiuso.
Chi si trova a scontare una misura di sicurezza detentiva non viene considerato un detenuto ma piuttosto un internato, il primo può dirsi sconta una pena dal carattere retributivo mentre il secondo solo valutativo-terapeutico e mai retributivo. L'applicazione di questa misura di sicurezza personale si basa sul principio di probabilità che una persona possa commettere dei reati, questo partendo semplicemente dalla tesi che averli commessi in passato (per ciò emendati con la pena del carcere) prognostica la certezza che ne commetterà di altri. Muovendo da questo assunto il soggetto viene dichiarato delinquente abituale, vale a dire socialmente pericoloso solo e sempre impostando il tutto sulla probabilità, sulla supposizione e mai sulla certezza (concetto accostabile solo al fatto, ovvero a ciò che nel concreto è accaduto) che possa commetterne altri. Ecco allora che accade lo straordinario cioè l'uomo comune, quello semplicemente dotato della sola ragione che non possiede quindi la facoltà di prevedere il futuro è surclassato da quello straordinario ovvero togato che invece sembra possederla grazie non già all'aiuto di una bacchetta magica quanto a quello dell'astrusa struttura di una legge fascista pietrificata nel nostro codice penale. Altra specialità di questa misura di sicurezza detentiva consiste nel fatto di essere comminata sempre nel minimo mai nel massimo. È potenzialmente infinta, in quanto può sempre essere riproposta (ex novo) e per questo è anche impropriamente quanto concretamente chiamato ergastolo bianco. La indeterminatezza della durata massima è “giustificata” dall'impossibilità di predeterminare la cessazione della pericolosità sociale di un soggetto, che deve essere invece verificata caso per caso allo scadere del periodo minimo previsto dalla legge (un anno, due anni, tre anni quattro anni). Allo scadere minimo previsto, secondo la giurisprudenza, il giudicante può attribuire rilievo a qualsiasi elemento che ritenga utile per riconfermare l'attualità della pericolosità sociale, dai precedenti penali, alle modalità concrete della condotta criminale, alla gravità dei fatti, al comportamento mantenuto durante la detenzione, alla solidità di eventuali riferimenti affettivi che l'internato dovrebbe avere all'esterno, alle problematiche individuali e ai possibili rischi per la collettività qualora l'internato fosse rimesso in circolazione, in una logica di prevenzione, propria della misura di sicurezza. Quindi mentre, secondo questa legge special-preventiva, è possibile prevedere in anticipo e con una certa facilità l'attualità della pericolosità di una persona non risulta altrettanto facile prevedere quando questa decada, tuttavia ciò non comporta un problema per l'uomo togato che in questo caso non si scompone e rivestendo per l'occasione i panni della normale ragionevolezza… torna appunto all'uso di essa che non potendo prevedere il futuro, ogni volta vuole vederci chiaro caso per caso… e nell'ipotesi che non dovesse vederci chiaro rinnova tutto rimandando il povero disgraziato al bagno con una proroga di sei mesi per rivederne la condizione alla prossima scadenza minima. Tutto questo non ha ovviamente una rigidità assoluta, infatti se la pericolosità dovesse risultare cessata, la revoca della misura di sicurezza potrà essere data durante l'attuazione della stessa oppure, su specifica istanza quando ve ne sono le condizioni e con il parere favorevole della direzione del carcere, anche anticipata vale a dire durante l'esecuzione della pena cui è eventualmente associata. In tal caso, per giungere ad una revoca anticipata, dovrà potersi formulare un giudizio in termini di assoluta certezza della cessata pericolosità sociale del soggetto. Cosa che ovviamente avviene molto raramente anzi, statistiche alla mano, quasi mai.
Per tutto quanto si è detto sembrerebbe che le misure di sicurezza personali siano applicabili solo in sentenza aggiunta ad una pena, ma in effetti non è così in quanto possono essere applicate, nel caso in cui vi sia la volontarietà del comportamento delittuoso, anche nell'ipotesi di commissione del cosiddetto quasi-reato (art. 49, 115 c.p.). Mentre si continuano a registrare casi (specie in zone dove è presente una criminalità di tipo associativo) in cui viene applicata a determinate persone anche e solo perché non possiedono un lavoro (cosa che non può certo essere considerata una colpa) e fermati insieme a pregiudicati, pure se non hanno mai commesso alcun reato, vengono dichiarati socialmente pericolosi, quindi sottoposti alla libertà vigilata. La libertà vigilata comporta una serie di obblighi e divieti che se infranti, anche uno solo di essi e per una sola volta, possono portare all'aggravamento della misura che può quindi essere trasformata in quella più afflittiva cioè detentiva.
Uno sente dire Casa di lavoro e crede che l'internato vi svolga attività lavorativa. Bene, niente di più falso. Anzi è bene dire che gli internati non vengono assegnati in appositi stabilimenti, ma in normali carceri e insieme a detenuti condannati a lunghe pene se non all'ergastolo (vedi Favignana in quel di Sicilia) oppure in altre di massima sicurezza come quella di Sulmona in provincia di L'Aquila, o ancora in Casa di reclusione a sorveglianza attenuata come Castelfranco Emilia. Esiste una sola struttura adibita esclusivamente a Casa di lavoro e questa è quella vecchia e fatiscente di Saliceta in provincia di Modena. Tutti luoghi dove non si lavora se non saltuariamente e dove la tipologia dei compiti assegnati sono quasi sempre umilianti e rasentano spesso l'idiozia. Le parcelle percepite sono assolutamente inique e quindi non si raggiunge nemmeno una delle idee del legislatore di allora che era quella di dotare chi finiva di scontare una pena, di una somma di denaro spendibile nei primi periodi di libertà con l'intendo di diminuire il pericolo di recidiva.
Gli internati possono fruire di licenze al fine di sperimentare il loro comportamento in ambito non detentivo e favorirne il riadattamento sociale. Oltre a questo esistono altri statuti e strumenti legislativi che non sto qui ad elencare, solo sottolineo il fatto che essi fanno sì che la misura di sicurezza detentiva assomigli sempre più alla detenzione vera e propria. Ad essi si applicano persino le medesime norme applicate ai detenuti in materia di colloqui. Insomma i detenuti, a differenza di quello che sembra, hanno molti più benefici di quelli a cui possono aspirare gli internati ai quali fra l'altro tutto resta più difficile. Dunque anche in queste circostanze, diversamente da ciò che si crede, gli internati non godono di un trattamento più elastico ma più duro e pernicioso rispetto ai detenuti che scontano una pena perché ritenuti colpevoli di reato. Se è vero che nelle carceri vi finiscono la maggior parte delle persone disadattate, extracomunitari e tossici, nelle Case di lavoro sottoposti a questa stupida e ingiusta detenzione vi sono dei veri e propri morti viventi, sono – come dice il magistrato scrittore De Cataldo – i rimasugli del banchetto di una giustizia penale che non riesce più a vedere nemmeno il proprio naso che cola, come una partoriente, opprimente ingiustizia. Una moderna magistratura che si definisca tale e in evoluzione dovrebbe rifiutare a priori questa speciale detenzione per il solo fatto che non è riconducibile alla commissione di un reato ma tant'è che esiste e l'Italia è l'unico paese in Europa (dicasi unico) a possederla, mentre nel mondo è proprio difficile trovare qualcosa di simile se non in paesi dove vige non certo la democrazia, ma la dittatura.
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Il testo proposto è un estratto dell'appendice del libro scritto da Massimo Ballone: “Responsabilizzazione e Presa di Coscienza nella Pena”. Edizione Tracce, 2009

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