Libertà, chi l'ha vista?
Quello delle carceri è un problema che si pone in un Paese ipocrita, burocratizzato e pietista come il nostro, insomma in una situazione dove lo Stato, quando non manca, sarebbe meglio non ci fosse.
La coercizione fisica, in uno Stato democratico, toglie la libertà ad una persona che una sentenza della magistratura abbia accertato come colpevole di aver violato la legge. La pena sarebbe rigorosa, ma giusta, perché allo Stato non sarebbe permesso di comportarsi in maniera illegale nell'esercitare la detenzione.
La presenza dello Stato sarebbe ben accetta: non avremmo bisogno di indulgenze plenarie, indulti e amnistie, buone condotte e quant'altro. Ma non è questa la situazione del nostro Paese.
Ipocriti nel difendere la giustizia finché colpisce qualcun altro, preferibilmente straniero e povero (caso vuole che l'unico parlamentare colpevole è quello eletto all'estero), diventiamo un Paese di garantisti se colpiscono il nostro beniamino con qualche doverosa giornata di squalifica.
Severi e con la faccia feroce quando si tratta di commentare le notizie al bar, diventiamo pietosi quando ci rechiamo alla messa o ascoltiamo le parole del Papa, o quando si tratta di versare l'8 per mille sperando che possa valerci come Telepass per il Giudizio Universale.
Azzeccarbgugli e fini giuristi finché c'è da complicare la normativa per tutelare i nostri millesimi condominiali, ci accorgiamo quotidianamente nel mondo del lavoro che è impossibile essere innocenti in un Paese intrappolato in un inestricabile florilegio di leggi, atti, decreti, direttive, circolari e prassi, ognuna delle quali ricca di comma, rimandi, capoversi, articoli e frasi. L'unico modo di adempiere è attenersi al parere del controllore, in base alla lettura arbitraria dell'ultima astrusa circolare, vincolante al di là della lettera della legge, al di là della sentenza di un Tribunale che prima di qualche lustro non potrebbe darcene conto.
Un Paese che da centinaia di anni confonde il senso di giustizia con l'autorità del padrone di turno e il senso della libertà nazionale con quello della casa regnante, non è all'altezza delle sfide della modernizzazione delle strutture giuridiche e amministrative.
Un Paese che non ha il gusto della libertà, che vive chiuso in casa come se essa stessa fosse la propria cella, non si rende conto di che cosa significhi davvero toglierla.
La coercizione fisica, in uno Stato democratico, toglie la libertà ad una persona che una sentenza della magistratura abbia accertato come colpevole di aver violato la legge. La pena sarebbe rigorosa, ma giusta, perché allo Stato non sarebbe permesso di comportarsi in maniera illegale nell'esercitare la detenzione.
La presenza dello Stato sarebbe ben accetta: non avremmo bisogno di indulgenze plenarie, indulti e amnistie, buone condotte e quant'altro. Ma non è questa la situazione del nostro Paese.
Ipocriti nel difendere la giustizia finché colpisce qualcun altro, preferibilmente straniero e povero (caso vuole che l'unico parlamentare colpevole è quello eletto all'estero), diventiamo un Paese di garantisti se colpiscono il nostro beniamino con qualche doverosa giornata di squalifica.
Severi e con la faccia feroce quando si tratta di commentare le notizie al bar, diventiamo pietosi quando ci rechiamo alla messa o ascoltiamo le parole del Papa, o quando si tratta di versare l'8 per mille sperando che possa valerci come Telepass per il Giudizio Universale.
Azzeccarbgugli e fini giuristi finché c'è da complicare la normativa per tutelare i nostri millesimi condominiali, ci accorgiamo quotidianamente nel mondo del lavoro che è impossibile essere innocenti in un Paese intrappolato in un inestricabile florilegio di leggi, atti, decreti, direttive, circolari e prassi, ognuna delle quali ricca di comma, rimandi, capoversi, articoli e frasi. L'unico modo di adempiere è attenersi al parere del controllore, in base alla lettura arbitraria dell'ultima astrusa circolare, vincolante al di là della lettera della legge, al di là della sentenza di un Tribunale che prima di qualche lustro non potrebbe darcene conto.
Un Paese che da centinaia di anni confonde il senso di giustizia con l'autorità del padrone di turno e il senso della libertà nazionale con quello della casa regnante, non è all'altezza delle sfide della modernizzazione delle strutture giuridiche e amministrative.
Un Paese che non ha il gusto della libertà, che vive chiuso in casa come se essa stessa fosse la propria cella, non si rende conto di che cosa significhi davvero toglierla.