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Scritto da nel Itaca, Numero 67 - 1 Marzo 2010 | 0 commenti

XXVI – Gli oracoli




Capitolo Ventiseiesimo

Dove prosegue il riassunto dei capitoli precedenti

Andando insieme verso Corinto per uccidere Sisifo, Odisseo e Zenone s'imbattono però, a Delfi, nell'oracolo di Apollo: un vecchio sacerdote e indovino; come tutti gli indovini, questo qui era temuto non tanto per la sua capacità di prevedere gli eventi, ma per il potere di determinarli con le sue parole. E questa è una di quelle cose che succedono che hanno grande importanza, in questa nostra storia. Andiamo a vedere da più vicino:

E tu cosa saresti? – gli fa Odisseo – un indovino, sei? …razza maledetta e degenere di uomini guasti: guardatevi le chiappe piuttosto che il futuro della buona gente: impiccioni ficcanaso, pettegoli e intriganti linguacciuti maneggioni delle vite nostre! viscidi trafficanti dei nostri affari! – e gli sputa in faccia.

L'oracolo lo guardava dritto negli occhi, con un sorrisino. Prende fiato e dice: Tu ucciderai tuo padre e per questo otterrai un regno ma dai tuoi fratelli verrà dal mare la fine tua e della tua gente – che sarebbe la tradizionale maledizione degli oracoli, regno compreso, quando vogliono che ne passi di cotte e di crude, per castigo. Odisseo, sentir così, pensa a Laerte, che vabbé che non lo può vedere, s'è possibile nemmeno da lontano, però che mai lo ucciderebbe: Tu sbagli persona, indovino bello, ma terrò a mente la tua profezia ogni volta che avrò questa voglia che tu dici, questo pensiero mi rasserenerà e non lo farò, di uccidere mio padre, e tutti sapranno che il grande oracolo di Delfi non sempre c'azzecca. E poi non ho fratelli – l'oracolo se la rideva tra sé: Stai attento, perché seminerete grano e cresceranno ortiche e brucerete d'orticaria e le cavallette mangeranno il raccolto e le falene mangeranno i vestiti nell'armadio e le formiche mangeranno il vostro pane, e i ragni faranno la tela nelle vostre scarpe quando le lasciate fuori la notte, vi colpirà una piaga maligna dalla pianta dei piedi alla cima del capo, vi gratterete con dei cocci, le rane vi entreranno in casa,… – e andava avanti con i suoi detti l'oracolo, aumentandogli così il malocchio – …e dove sei diretto nel tuo andare, principe di Itaca, con quell'arco in spalla?

A Troia – gli dice Odisseo, diffidente.

Ah ah! A Troia! – ride l'oracolo – tu menti, vero? Ma sai che ti dico? Ci andrai davvero, a Troia – gli fa, ridacchiando – …è a Troia che già ti portano questi passi, è proprio vero, e sarai anche uno degli ultimi a vederla così com'è: Troia brucerà a causa tua, e navigherai, e navigherai, ah quanto navigherai, caro mio, e mentre navigherai io starò qui, seduto a ridermela, così: ah ah ah!! – e già rideva di gusto l'indovino, l'oracolo della città di Delfi.


Capito? E quindi bisogna stare molto attenti agli indovini. Dopo questo bell'incontro, Zenone e Odisseo proseguono per la loro strada verso Corinto, ma poco prima di arrivare si ritrovano a un banchetto organizzato da Tindaro, il padre di Elena, per scegliere tra i pretendenti a quale far sposare la figlia. A questo banchetto Odisseo fa la conoscenza di Agamennone, che sta organizzando in cuor suo (ma senza dir niente a nessuno) una guerra di conquista dell'oriente mediterraneo, e per una scusa o per l'altra aveva messo insieme una federazione achea con lui, Agamennone, re fra tutti i re. Odisseo, che vuole modernizzare Itaca, che vuole le navi concave tanto in voga a quei tempi, gli chiede aiuto; Agamennone allora questo aiuto glielo garantisce, ma solo come parte della federazione – e Odisseo accetta lo scambio, ignaro di tutto.


Tornati a Itaca, dimentichi del loro proposito omicida e portando un satiro con loro, sotto la quercia della piazza succedono degli scompigli: il satiro fa snervare sempre qualcuno che poi tenta di ucciderlo e all'istante viene colpito da una freccia al collo. Odisseo era infatti infallibile col suo arco, e difendeva la vita del suo amico. Quando però, questo satiro, prende a dir della quercia secolare che gli sta alle spalle, dei sospetti che fosse già lì da tempo, quindi, essendo secolare, e che ci fossero altri a viver lì prima che Laerte conquistasse l'isola, e che magari fossero Pelasgi, allora va a finire che Laerte gli viene un dispiacere e uccide il satiro – e Odisseo prende la decisione di scacciare Laerte dal suo posto di re.

Ma tanto – dice Palamede – per essere re ci vuole una regina, e se quel matto continua così, sugli alberi o per le strade con la lira a fare il buffone, siamo a posto – Zenone lo guardava fissamente. Palamede pure lo guardava fissamente, uccidendosi il sorriso che gli spuntava in faccia: Cosa c'è? – dice – non siamo a posto? Zenone: siamo a posto o non siamo a posto? – ma è evidente dalla faccia di Zenone che lo guarda fissamente, è evidente che non siamo a posto.

Perché a Itaca, durante una bufera di neve, per recuperare il suo cane Argo (rubato da Zenone) sbarca la donna dell'isola dei lupi: Penelope – così chiamata per una questione di anatre.

Penelope, la donna dell'isola dei lupi salvata dalle anatre, era dunque venuta a riprendersi uno dei suoi cani. Per via che gl'era stato rubato. E quindi, tornando a noi che si pensava a una regina per Itaca: ecco fatto. Una bella regina pelosa – muschiata, per meglio dire – e che faceva più legna lei che Odisseo. Non vi sembrano un accoppiamento perfetto? A me sì. Perchè poi Penelope, la donna dell'isola dei lupi salvata dalle anatre, recuperato il cane la pensa bene di restare a Itaca per un po'. E quindi secondo me: gatta ci cova. E poi sono millenni ch'è risaputo che la moglie di Odisseo si chiama Penelope.

Non può essere una coincidenza.

In più, come ad acchiappare i favori della gente, a Odisseo gli capita il caso di Sisifo, il suo grande nemico (e il suo grande terrore), che vuol sbarcare a Itaca, ma che viene ucciso con una freccia solitaria al collo, ancor prima di mettere un piede a terra; così ecco che Odisseo è re bell'e fatto: tutto secondo la maledizione dell'oracolo di Delfi.

E siamo rimasti (al di là della digressione ciclopica, che mi sembrava però di grande interesse – o sbaglio?) a un pranzo in casa di Laerte, che vive adesso nel frutteto, alla quale assistono Zenone e uno scriba raccattato per le vie di Troia distrutta, dopo l'assedio acheo. Perché, come ben saprete di certo, la guerra che Agamennone meditava nel cuore s'è poi concretizzata e grazie soprattutto al nostro buon Odisseo è andata a finire che gli Achei hanno bruciato Troia, e chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto.

Questo scriba che Zenone si ritrova come compagno di avventure, è un giovane molto esperto nella nuova invenzione di quegli anni: la scrittura – ma del tutto inesperto della vita. Arrivati a Itaca non trovano però, come credevano, Odisseo ad accoglierli, ma un piccolo merdoso di nome Telemaco, figlio di Odisseo ma allevato da Laerte e da Palamede negli anni della guerra, e che non li lascia vivere in pace.

Si svolge quindi il pranzo a casa di Laerte, dove ben s'intende che nell'animo di tutti c'è la possibile scomparsa del re, che dovrebbe esser già tornato ma che invece non torna mai. Viene ricordato a Zenone dei tre ragazzi (Odisseo Zenone e il satiro) che con un cane (il cane Argo, rubato alla donna dell'isola dei lupi, Penelope) portavano scompiglio al benestare di Itaca, molti anni prima, che dalla prima Itaca l'hanno fatta diventare una seconda Itaca, e poi con la guerra una terza Itaca, …i tre ragazzi e un cane dei quali il satiro è stato appeso alla quercia, Odisseo l'ha preso il mare, il cane è vecchio decrepito,…

…insomma Zenone, a quale Itaca volevi tornare? – gli domanda Palamede. E qui dove s'era rimasti, da questo pranzo e da questa domanda, nel capitolo a seguire si riprende.

(continua…)


Palamede era uno scienziato e filosofo naturalista; inventore, tra l'altre cose, di alcune lettere dell'alfabeto. È acerrimo nemico di Odisseo da quando, ancora bambino, l'ha visto con il nonno Autòlico rubare alla propria famiglia il bestiame.

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