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Scritto da nel Numero 69 - 1 Maggio 2010, Politica | 0 commenti

Barbarie che colpiscono ma non abbattono

La mia interlocutrice è inizialmente titubante sulla mia idea di dedicare un articolo all'ennesima barbarie successa in Calabria. Devo ammettere che anch'io, da qualche mese a questa parte, sento una leggera frustrazione nel raccontare ingiustizie e fattacci della mia Terra.
Infatti scrivere di un incendio che nel cuore della notte distrugge completamente uno degli stabilimenti balneari più noti e apprezzati di Soverato, proprio a un mese dall'avvio della stagione estiva, a un'analisi superficiale non potrebbe essere altro che “pubblicità negativa”. Secondo questo punto di vista, che ultimamente persino il nostro presidente del Consiglio ha fatto suo, sarebbe meglio non raccontare taluni fenomeni ed episodi perché danneggiano l'immagine dell'Italia (in questo caso, della Calabria).

Dalla chiacchierata con Maria, proprietaria insieme al marito Franco dello stabilimento balneare ridotto in cenere, emerge però l'altra faccia della medaglia: quella di gente che non si arrende e che non ha desiderio di vendetta. Eppure il colpo subito è di quelli che fanno male: un ventennio di sacrifici andati letteralmente in fumo, centinaia di migliaia di euro persi (circa duecento ombrelloni, cucina, celle frigorifere, forni, macchine del ghiaccio e del caffè… e l'intera struttura in cemento armato danneggiata irreparabilmente) e inestimabili i danni morali.

Nonostante quanto successo, le prime parole che Maria mi dice, sono per tutte quelle persone che immediatamente hanno manifestato la loro solidarietà a lei e al marito Franco. Ecco la maggioranza silenziosa, quella che risponde con vigore a quella minoranza che, mi dice Maria, sembra prevalere solo perché fa più rumore. La solidarietà giunge così dai commercianti, dai clienti, dai cittadini, dalle istituzioni in primo luogo a titolo personale e al di là del colore politico. E assume forme volontaristiche: Franco è già al lavoro, a ripulire tutto, aiutato anche da alcuni dei vecchi dipendenti.

Sono subito al lavoro perché la volontà di ricostruire tutto come prima, meglio di prima, è molto forte. Del resto “non ricominciare sarebbe una sconfitta e una mancanza di rispetto verso i nostri clienti”. Invece “una pronta reazione è la miglior risposta che si può dare ai mediocri che vogliono colpire al cuore”. E poi c'è il messaggio da dare ai figli, quello di non cedere alla rabbia, di mostrare loro come si ricomincia da zero.

D'altra parte non mancano i momenti di sconforto, che tagliano le gambe anche al calabrese più cocciuto e in questo caso hanno origine da tre riflessioni. La prima si rifà al ricordo degli inizi, quando la giovane coppia, vent'anni fa, prese in gestione un piccolo stabilimento balneare con quindici ombrelloni e poco altro. Mattone dopo mattone avevano costruito un punto di riferimento estivo per giovani e turisti, con professionalità ed enormi sacrifici, in particolar modo nei primi anni d'attività. Ora non c'è più nulla, letteralmente. Ricominciare significa pure elargire quegli stessi sforzi – allora magari mitigati dall'incoscienza di chi si getta in un progetto completamente nuovo – in una situazione di crisi economica che, a dispetto delle parole dei governanti, al Sud non accenna ad affievolirsi.

Da qui la seconda riflessione: vale la pena rifare la stessa operazione dal punto di vista economico? Inoltre nell'ambito di un contesto, quale quello calabrese, non dei più brillanti per quel che riguarda i consumi. E ancora, per ricostruire c'è immediatamente necessità di soldi liquidi e, con la stagione estiva oramai alle porte – e che eventualmente non può essere “persa” – in questo campo non bisogna sbagliare nulla. Certo, segnali inequivocabili dicono che lo spettacolo deve continuare, in tal caso ricominciare: le ciabatte del cuoco, di materiale rigorosamente sintetico, sono gli unici oggetti sopravvissuti all'incendio! Il senso dell'umorismo non è mai mancato da queste parti, neppure nei momenti più grigi.

Infine, l'aspetto dal mio punto di vista più inquietante. Se si è di fronte ad un atto doloso (e con ogni probabilità di questo si tratta, visto che l'impianto elettrico era completamente staccato ma è bene usare la massima prudenza in questioni così delicate e ci sono delle indagini in corso) chi e perché avrebbe dovuto compiere un simile gesto? Maria mi racconta che è proprio il non sapere a logorare, perché ogni ipotesi è più che altro una congettura. Si vuole pensare a una bravata sfuggita di mano oppure a un folle gesto dettato dall'invidia. Sono le uniche possibilità che vogliono prendere in considerazione. Delle rimanenti non vuole parlarne. Salvo aggiungere di non avere paura. “Chissà, forse per incoscienza”.

Ecco molto semplicemente un esempio tra i tanti e svariati episodi di barbarie calabresi che la cronaca sussurra ogni giorno. Dietro ognuna di queste c'è un mondo al quale vale la pena affacciarsi, per evitare che l'abitudine ci faccia cadere nelle braccia dell'indifferenza mentre sfogliamo un quotidiano o vediamo un telegiornale. Secondo la mia opinione, per mortificare questo tipo di barbarie non bisogna semplicemente invocare la presenza dello Stato, che è cosa scontata. Occorre piuttosto recuperare con vigore lo spirito di comunità (quello cui fa cenno, commossa, Maria) che va sempre più sgretolandosi sotto i colpi della globalizzazione e della corsa al banale e crudo benessere economico, portatrice contagiosa d'invidia, meschinità ed egoismo.

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