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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 69 - 1 Maggio 2010 | 0 commenti

Scontro di civiltà



1991. Con il decadere del Patto di Varsavia, la fine della Guerra Fredda sancisce uno storico punto di svolta e il mondo si avvia verso una nuova fase. Si respira finalmente aria di ottimismo, e la democrazia liberale sembra essere l'unica alternativa ideologica possibile. Francis Fukuyama parla di “fine della storia”, in senso hegeliano, ossia di fine dei conflitti per la mancanza di scontri ideologici tra le nazioni del mondo.

Il politologo Samuel P. Huntington, in Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, soppesa le ottimistiche teorie in voga con la situazione mondiale, e arriva a prospettare una nuova fase di scontri dovuti a motivi di ordine prettamente culturale. Gli scontri non avverranno più fra stati, ma fra popoli di matrice diversa, pronti a riconoscere nel diverso un loro nemico.

Già all'epoca della polis greca, il termine varvaros indicava con sdegno i diversi, gli estranei, coloro i quali venivano discriminati per la loro diversità culturale. La contrapposizione ai barbari rimane fino ai giorni nostri, alimentate da un sentimento di superiorità verso i popoli diversi, la paura verso questi popoli, le difficoltà di comunicazione con essi e l'incomprensibilità fra valori, modi e tradizioni di culture diametralmente diverse.

Gli odierni progressi nella comunicazione e i trasporti hanno permesso una maggiore interazione tra popoli di diverse culture, che ha stimolato una maggiore coscienza della civiltà d'appartenenza.

Per questo la frattura tra mondo cristiano e mondo islamico, occidente e oriente, nord e sud del mondo è diventata ancora più insanabile. Secondo Huntington i conflitti politici ed economici possono essere risolti sulla base di compromessi e discussioni, mentre i conflitti ideologici non hanno alcuna possibilità di essere negoziati. Quest'aria di conflittualità universale è tipica dell'uomo, che ha bisogno di un nemico, un antagonista per potersi affermare nel mondo, ed avere coscienza di sé. Il diverso diventa così il nemico per antonomasia, la nemesi con la quale sarà sempre meno possibile un punto di incontro, una risoluzione del conflitto.

Nel contempo c'è da sottolineare come la comunanza culturale incoraggi la cooperazione tra stati e gruppi, come confermano i modelli emergenti di associazione regionale tra paesi, specialmente in campo economico.

Secondo la lezione di Huntington, quindi, il mondo non è diviso in stati, ma in popoli e civiltà.

Secondo questa logica, nel mondo che emerge, un mondo fatto di conflitti etnici e scontri di civiltà, la convinzione occidentale dell'universalità della propria cultura comporta tre problemi: è falsa, è immorale, è pericolosa… l'imperialismo è la conseguenza logica e necessaria dell'universalismo.

Ma come sostiene lo stesso Huntington la forza di coesione del mondo occidentale potrebbe venir meno, e l'occidente potrebbe perdere il suo ruolo con l'ascesa di potere delle nazioni orientali.

Capire le divergenze culturali è quindi il primo passo per capire i conflitti presenti e futuri, accettando la cultura come luogo di scontro; riconoscere l'intrinseca incompatibilità tra le diverse culture permetterà agli stati occidentali di non perdere il predominio sul mondo, e auto-rappresentarsi come cultura egemone. Ma forse, come sostiene lo steso Huntington, il mondo sta diventando più moderno e meno occidentale.

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