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Scritto da nel Numero 70 - 1 Giugno 2010, Politica | 1 commento

Dopo il Mercato Interno

L'idea che gli uomini si fanno dei cavalli alati della Storia è alquanto varia. C'è chi nella parte ci vide il Cristianesimo, chi Napoleone, chi le masse proletarie e chi il mito della razza. Con meno fantasia, per la pacificazione del Continente gli Europei contemporanei hanno scelto il Mercato (Interno). Forza impersonale perché annidata in ognuno di noi – in quanto consumatori, produttori, viaggiatori – l'idea della libertà economica, di spazi aperti al movimento tanto delle persone quanto di beni materiali e immateriali è stata brandita in vario modo per legittimare la costruzione di quello che ora chiamiamo Unione Europea. Operazione mirabolante considerati i risultati di portata storica. Ma drammaticamente incompleta.

Come disse un ispirato Stiglitz qualche anno fa, “la mano del mercato è invisibile probabilmente perché non esiste”. Era forse ingenuo credere che l'interesse individuale di governi e attori economici bastasse da solo a creare rendimenti crescenti verso un'Europa sempre più stretta, prospera e giusta. E' stato certamente ipocrita negare la politicità di scelte cariche di conseguenze (re)distributive, come se fossero velate di un manto di efficienza tecnica da cui tutti profittano allo stesso modo. Almeno nel medio periodo, in una prateria sconfinata come quella del Mercato Unico corre chi ha gambe abbastanza lunghe. I piccoli, in assenza di tutele, o si coalizzano tra loro o soccombono. Politiche sono le istanze degli uni e degli altri, che il mercato crea ma da solo non risolve.

I vincoli di Maastricht alla spesa statale, la Moneta Unica, la liberalizzazione dei servizi al di sopra degli interessi di carattere sociale. L'allargamento ad Est. Dopo l'entusiasmo per l'abbattimento delle frontiere, gli anni ´90 hanno dimostrato che dalla costruzione di un regime Europeo di scambi economici tutti hanno qualcosa da perdere. E' l'impatto fisiologico dell´unificazione di sistemi precedentemente protetti ognuno nel proprio guscio nazionale: il punto non è credere fanaticamente che le conseguenze sociali siano un miraggio di ignoranti e nazionalisti. Il punto è creare un sistema politico capace di assorbire e rielaborare i conflitti in modo esplicito ma trasversale alle Nazioni. In altre parole, le paghe infime dell´idraulico polacco sono un problema tanto dei lavoratori Tedeschi quanto di quelli Polacchi. Il gioco di specchi è quello che li mette gli uni contro gli altri.

Contrappeso alla gioconda idea di un'Europa come solo libero mercato è stato tradizionalmente un gioco istituzionale che ha visto Commissione e Corte di Giustizia impegnate a costruire un sistema Europeo di tutele. Finché la prima è esistita, è stata capace di giocare di sponda con le ansie degli Stati e dei gruppi piú deboli nel mercato e ricavare spazio per misure correttive: il diritto del lavoro Europeo, i fondi strutturali, le politiche di genere e ambientali. La seconda si è assunta la responsabilità capitale di creazione di diritto attorno e a volte anche sopra il Mercato. Non certo una cavalcata trionfale nei cuori dei cittadini Europei, ma per le incompletezze del sistema si dovrebbe puntare il dito proprio contro quelli a cui ci si affida ora per garantire “democraticità” alle decisioni: i rappresentanti degli Stati membri.

Al crescere dei partecipanti, della diversità di condizioni economiche e motivazioni politiche, dunque dei veti incrociati, lo spazio per una politica Europea è diventato un fazzoletto di terra. Nel 2000, il completamento del Mercato Interno è rimasto il minimo comun denominatore per un'agenda politica che ha abdicato a inconsistenti forme di Coordinamento l`ultima grande Strategia economica (quella di Lisbona) che l'UE sia stata capace di concepire. Poi, direbbe Sartre, l'essere e il nulla. La Commissione affidata ad un personaggio insignificante. La Corte di Giustizia – stregata dallo Zeitgeist del nuovo millennio – che si rimangia in pochi anni decenni di minuziosa giurisprudenza a cavallo tra libertà economiche e diritti sociali. Ora la Grecia, e finalmente scopriamo che il Mercato o è sostenuto politicamente o non é. Che fare, dunque, abbandonare tutto?

Certo, liberi di essere orgogliosamente nani nazionalisti tra i giganti dell'economia internazionale. Abbandonare la Moneta Unica, depotenziare le istituzioni comunitarie a guardiani notturni delle faide tra Stati e tornare all'auto-amministrazione del declino Europeo: sia fatta la volontà degli elettori e dei loro rappresentanti. L'alternativa è meno allettante per la pancia: riconoscere che quella che fallisce è l'Unione Europea che non ha investito abbastanza su se stessa. Che ha lasciato le cose a metá: un mercato interno con istituzioni politiche e sociali di controllo nazionali; un'area Monetaria senza capacitá fiscale, corretta da interventi occasionali; una burocrazia comunitaria scollata dalla leadership politica di riferimento e senza coraggio nei contenuti. Soprattutto, un'Europa con una nemesi ritornata ad essere solo al suo interno, la frammentazione degli interessi e delle appartenenze nazionali: quanto prima l'Europa troverà una nuova sfida comune a tutti, tanto eviterà di infliggersi torture scordando che é la pace interna – non il Mercato – il fine dell'integrazione.

1 Commento

  1. nel precedente articolo su sesso e amore in politica, Pancaldi co è piaciuto, ma quando parla dei temi a lui cari come l'Europa dà davvero il meglio di sè..parlare di Europa è per Federico quello che un casinò rappresenta per un giocatore d'azzardo…continuiamo così

    un caro saluto (e vediamoci a Bolo)

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