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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 76 - 1 Febbraio 2011 | 0 commenti

Arte senza business in Italia

Tra i possibili asset d'investimento, quello in arte sta mostrando negli ultimi anni i migliori risultati in termini di rischio e rendimento. Almeno sul piano teorico, perché il settore risulta ancora troppo sottile e poco accessibile ai risparmiatori.

Secondo le stime dell'Osservatorio sul Mercato dei Beni Artistici (OMBA) di Nomisma su dati ufficiali di mercato, il giro d'affari del business artistico complessivo in Italia è risultato intorno a 1,2 miliardi di euro nel 2010, un dato davvero esiguo se confrontato con qualsiasi indicatore di ricchezza prodotta o accumulata nel nostro Paese. A partire dal secondo semestre 2007, i segmenti dell'arte antica e moderna, maggiormente legati a un valore intrinseco delle opere e a un riconoscimento consolidato degli autori, hanno retto meglio il colpo della crisi rispetto ad altri circuiti d'investimento alternativi (borsa, oro, immobili), riuscendo sempre a garantire protezione dall'inflazione e restituendo dei rendimenti medi annuali rispettivamente dell'1,2% e del 4,2%. Ma è alla presenza di elevati costi di transazione (intermediazione e liquidità), e dei vincoli di accessibilità (istituzionale e finanziaria) che può essere attribuita una difficoltà del settore artistico in Italia, rispetto ad altri mercati, di trasformare l'interesse potenziale di un numero crescente di soggetti – dovuto a una maggiore sensibilità culturale, passione nei confronti del collezionismo privato e attenzione alla diversificazione degli investimenti – in un comportamento reale rivolto alla compravendita e all'investimento di beni artistici.

In linea generale, nell'ultimo quindicennio l'investimento in arte batte quasi sempre quello in azioni, ma non riesce a sostenere il passo dell'oro. Dal 1995, l'investimento in arte contemporanea e quello in oro sono risultati i più remunerativi, con un tasso medio annuo di rendimento rispettivamente del 3,9% e 4,0%, rispetto al 2,0% dell'immobiliare legato alle principali città italiane, all'1,7% delle azioni quotate sul listino di borsa italiana e allo 0,8% dell'arte moderna. Ad oggi, un euro investito nominalmente nel 1995 nelle opere dei primi trenta autori contemporanei risulterebbe pari a 3,15 euro, mente lo stesso investimento nelle opere dei primi trenta autori moderni avrebbe garantito 1,28 euro, con un livello di rischio però nettamente inferiore (il coefficiente di variazione è pari a 0,16 per l'arte moderna, contro lo 0,40 dell'arte contemporanea). Riducendo il campo d'osservazione al periodo 2006-2010, la garanzia di un euro investito a inizio periodo si otterrà solo dall'investimento in oro (2,02 euro), in mobili di antiquariato (1,38 euro) e in case situate in una grande area urbana (1,02 euro).

Da sottolineare, però, come l'avere partecipato alla “sovra-performance” del contratto future sull'oro scambiato sul mercato Comex, a partire dalla fine del 2007 e sulla scia dell'appeal negativo degli altri asset d'investimento, abbia significato l'assumere un livello di rischio, legato alla sua volatilità, in assoluto il più elevato tra tutti gli asset presi in esame (coefficiente di variazione pari a 0,54). Gli indici dei beni artistici hanno registrato una dinamica diversificata: un andamento difensivo è riscontrabile in corrispondenza dell'indice dell'arte moderna (NIM), con una variazione media annuale dei prezzi in linea con l'inflazione e un livello di rischio contenuto; un comportamento speculativo caratterizza, invece, l'indice dell'arte contemporanea (NIC), che ha restituito una redditività considerevole, molto vicina a quella dell'oro, ma con un livello di rischiosità inferiore.

In questo scenario tracciato da Nomisma, a beneficiare del maggiore effetto rifugio (arte antica e moderna) e di una migliore performance (arte contemporanea) è stata probabilmente la fascia più ricca dei risparmiatori, che ha potuto avviare nell'ultimo quindicennio degli acquisti in opere d'arte guidati soprattutto da interessi culturali e dalla passione per il collezionismo privato. Ancora oggi, da un lato, il taglio medio per l'acquisto di opere d'arte di qualità risulta ancora inaccessibile ai più, nonostante la crisi abbia implicato un reale spostamento verso la fascia del “piccolo collezionismo”, e, dall'altro lato, non sono ancora stati creati dei veicoli finanziari e istituzionali per l'ingresso dei risparmiatori nel settore dell'arte, ad esempio attraverso l'acquisto di quote di fondi artistici chiusi. Senza dubbio il comparto ha visto crescere il numero di soggetti che hanno ritenuto l'arte come un bene rifugio in grado di mantenere il potere di acquisto dei propri risparmi, soprattutto in periodi di bassa crescita economica, o come un asset di investimento alternativo, con ritorni più elevati rispetto ai tradizionali circuiti finanziari di borsa o di attività reali, ma ad oggi la maggior parte delle famiglie hanno scarse possibilità tecniche per acquistare opere d'arte, sia con lo spirito da collezionista che con quello da risparmiatore, sia con l'orizzonte di breve periodo che con quello di lungo periodo. Il driver estetico e culturale potrà continuare ad essere predominante nell'investimento in opere artistiche, ma dovrebbe essere sempre più affiancato da una dimensione finanziaria, peraltro riscontrabile in altre economie avanzate, che aiuterebbe il settore a far confluire i risparmi privati di tutte le famiglie italiane e ad allargare il bacino potenziale di investitori.

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