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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 77 - 1 Marzo 2011 | 0 commenti

Il male di vivere

Sono giorni ormai che piove e fa freddo e la burrasca costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro, luce sciatta e livida, neon ammuffiti, odore di ferrovia, polvere gialla rossiccia che si deposita lenta sui vetri, sugli sgabelli e nell'aria di svacco pubblico che respirano annoiati, maledetto inverno, davvero maledette notti alla stazione, chiacchiere e giochi di carte e il bicchiere colmo davanti, gli amici scoppiati pensano si scioglie così dicembre, basta una bottiglia sempre piena, finché dura il fumo.”


Comincia così il viaggio di Pier Vittorio Tondelli tra i disadattati del Posto Ristoro, luogo di incontro di tossici, omosessuali e prostitute, luogo ideale di una generazione di conflitti interiori, desideri irrealizzati, malessere di vita.

Postoristoro è anche il titolo di questo primo racconto che, assieme ad altri cinque, compone la prima opera di Tondelli, Altri Libertini (1980), criticato e sequestrato per oscenità e oltraggio alla pubblica morale. Non si può negare, infatti, che Altri Libertini rappresenti il punto di distacco rispetto alla tradizione letteraria classica italiana, ma tutto ciò si può notare, non tanto attraverso le situazioni descritte, quanto per l'utilizzo di un modo di scrivere che non ha precedenti.

Sarebbe stato impossibile, infatti, parlare di questo racconto senza riportarne una piccola parte, è impossibile riuscire a descrivere lo stile che Tondelli usa in questo romanzo senza assaporarne un pezzo.

Solo leggendo questo incipit riusciamo a calarci nella situazione del racconto, non solo dal punto di vista fisico, ma anche emotivo. È da notare come da una semplice descrizione ambientale emergano emozioni, sensazioni, stati d'animo che appartengono sì ai personaggi della storia, ma a un'intera generazione che Tondelli conosce, di cui si sente parte e di cui vuole diffondere le angosce.

All'apparenza lo stile dell'autore ci sembra governato da un'assoluta anarchia sintattica e compositiva, ma al contrario Tondelli studia e calibra ogni singolo sintagma, pesa ogni virgola, ogni elemento per conferire al testo un'anima, un'interiorità che permetta al lettore di non soffermarsi all'apparenza stilistica, ma che lo immerga nel testo, lo trascini nel luogo e lo sconvolga prima visivamente, poi interiormente.

La grande invenzione di Tondelli, poi, è l'accostamento di vari livelli di linguaggio, si passa dal gergo giovanile, al linguaggio colloquiale, a quello alto e lirico. Lo stile del linguaggio parlato riportato in letteratura si mischia con figure retoriche, termini altisonanti, creando un patchwork linguistico, riflettendo in scrittura il costante contrasto interiore giovanile, l'incontro e lo scontro fra tradizione e contemporaneità.

I personaggi principali descritti da Tondelli, che ritroveremo negli altri racconti di Altri Libertini e nei successivi romanzi, appartengono essenzialmente a due tipologie di disadattati: il drogato e l'omosessuale. Attorno a questi gravitano altri esempi di freaks o dysdaimon, tutti accomunati dal disagio e dall'esclusione sociale.

I giovani non fanno altro che manifestare un contrasto all'interno della società stessa, la dicotomia tra il consumismo, che iniziava a diffondersi in quegli anni e che omologava e ordinava le abitudini, e l'evasione da tutto questo, espressa con la trasgressione giovanile e culminata con la peste degli anni '80, l'AIDS.

I personaggi di Tondelli sono rinchiusi nel loro status, provano vergogna per loro stessi, ma più di tutto, provano vergogna per un paese e una società che non li ascolta, che non li rappresenta e che, impregnata di perbenismo, li giudica invece di comprenderli.

Ecco quindi che la vergogna si manifesta perseguendo uno stile di vita autodistruttivo. E questo non è un modo per ribellarsi, per opporsi alle regole prestabilite della società, è evasione, desiderio di annullarsi perché ci si sente diversi, impossibilità di chiedere aiuto e continua ricerca di uno stimolo che ti faccia sentire vivo, anche se sai che sei già morto dentro.

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