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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 77 - 1 Marzo 2011 | 0 commenti

Quattro nomi

Quattro nomi

Non ho mai contato le stelle perché presumevo di conoscerne già il numero. Ma non le ho mai contate anche perché temevo che il loro numero mi potesse annichilire” disse, stette un attimo in silenzio, poi riprese:

Non è vero, è altro che mi spaura: la loro incontrovertibile veridicità. Anzi, neppure: è la loro vera, incontestabile menzogna”.

Gli altri rimasero in silenzio, non capirono. Guardavano i quattro corpi carbonizzati e non capivano. Sapevano di dover provare dolore, è provavano sinceramente dolore, ma nessuno di loro sapeva più parlare.

Dopo aver detto questo, e dopo aver ascoltato la risposta muta dei suoi amici, Pietro ritornò in sé, riportando lo sguardo sui cadaveri, uno ad uno, nome a nome.

Raul, Fernando, Patrizia, Sabatino: quanto i nomi sanno dire poco, pensò, quanto questi nomi furono anonimi e quanto questi nomi non hanno mai voluto significare nulla mentre ora, invece, significano un intero evento senza tragedia.

Il campo era immerso in un'esasperata lentezza, un apatia atavica che sapeva di inarrestabile disfacimento.

Pietro, spinto in quel frammento di terra, nella claustrofobia totale, cominciò a sentire un pressione tutt'intorno come se piano un intero universo si riversasse in lui: i rumori della strada e il vociare indistinto e il vento e persino il silenzio fremente e infine il suono dei fotoni solari, di radiazioni in picchiata sulle foglie, sui camper, sulle sedie in plastica, sul fango, in uno schianto continuo, tragico, a spaccare i corpi: improvvisamente ebbe l'impressione di essere lì da sempre, ora e forse per l'eternità tutta: provò un'ondata di calore e si sentì avvolgere d'improvviso in un sentimento di esterrefatta vergogna, ma solo per un singolo e irrecuperabile attimo.

Ora tutto era nuovamente lontano, nuovamente buono; tentò di ritornare a provare pietà per quei corpi, ma ciò che aveva sentito, quella mortificazione, lo aveva lasciato turbato: in quell'attimo, in quell'abisso di consapevolezza, era riuscito a individuare il legame, il polo corrispondente e necessario alla vergogna, il suo oggetto. Ma ancora, ciò che lo terrorizzava, era la coscienza che, messo a fuoco il nucleo di questa sua intima e vera vergogna, si era finalmente sentito libero, di una libertà assoluta atroce innegabile.

Pietro sapeva ora che la sua vergogna non era per i gesti suoi e del mondo le cui linee di forza avevano portato a quei corpi-stracci carbonizzati, ma per la pietà, vergogna per la pietà, per la pietà lorda d'ipocrisia del suo viso, della sua bocca, di fronte a quello scampolo di morte. Era la realtà che a Pietro, per un insondabile motivo, per un'inopinabile causa, si era rivelata, uccidendolo e rivificandolo ad un tempo.

Seppe, in quel momento e lo seppe dunque per sempre: si rivolse allora agli altri: “Oggi noi non siamo stati disumani nel lasciarli vivere così, né questa è stata una tragedia. Che valore può avere la parola 'disumanità' in un mondo di gesti compiuti da uomini e tutti, dunque, perfettamente umani? Tutto in noi è terribilmente umano, tutto fino al gesto di più agghiacciante spietatezza: siamo l'umanità della comprensione forse, ma prima e soprattutto della sopraffazione e poi dell'indifferenza. Quattro bambini arsi vivi sono il mediocre prodotto delle nostre mani, e delle mie: questo pluriomicidio è mio prima che di tutti voi, e vostro più che mio, e poi dell'Italia e dell'Europa intera. È un omicidio che si stende sui fusi orari del mondo, che si appiattisce faccia a terra e respiro secco per comprenderci tutti: prima che della terra e di qualsiasi altra cosa, questo omicidio è umano e queste parole, questa 'tragedia annunciata' (come hanno titolato alcuni giornali), sono una banalità perché il grido di questo omicidio ci è sempre stato nei timpani e la sua volontà c'è sempre stata nelle mani.

Io senza volerlo ma sapendolo perfettamente ho ucciso questi quattro bambinacci, e ne devo andare fiero, fiero ne devo essere perché ne sono artefice e perché, come questo, gli omicidi a venire li sto compiendo oggi, adesso, mentre traccio questa a.

E guardandomi, guardandomi veramente, ciò che provo è l'infinita vergogna non per il mio gesto, ma per l'ipocrisia della mia condanna di questo gesto, per l'incoerenza assoluta tra ciò che sono stato e che sono, e ciò che ho sempre finto a me stesso di essere. Che pietà sono destinato a provare se ho cercato questo gesto, questo omicidio, con tutta la mia infinità volontà?”

Disse questo nel silenzio più assoluto, pieno, completo: tanto era denso che credeva difficile che le parole si fossero realmente potute trasmettere fino alle orecchie degli amici. Eppure loro avevano sentito, ma allo stesso tempo non sapevano più la lingua di quelle parole così non le poterono capire. Pietro si guardò intorno; non ricordava più cosa voleva dire e cosa aveva detto veramente e si trovò per un istante spaesato in quel silenzio che lo terrorizzava: non sentiva più nulla di ciò che aveva provato pochi attimi prima e si vergognò di quel mutismo e di quel vuoto mentale, di quel non dire nulla con tutto quel dolore che aveva in corpo, e allora parlò.

È una terribile tragedia. Non è ammissibile che accadano certe cose! È un'ignominia, uno schifo, una insulto all'umanità. Devono pagare per questo… e poi i bambini, che colpa avevano i bambini?”

Tutti gli altri questa volta vollero sentire perché si resero conto che era facile e risposero, tutti, quasi in coro: “Hai ragione, è una vergogna”.

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