Pepepepepepeeeee-Peru
Ma vedere tonnellate di acqua che si riversano con un rombo continuo al confine tra due paesi è comunque un ottimo modo per ridimensionarsi e lasciare che tutto scivoli via scrosciando.
E dopo aver degnamente celebrato la fine del viaggio insieme, attorniati da motociclisti e giacche di pelle, io ed Alex ci siamo separati con una promessa che non sarà facile da mantenere: “Hasta Italia”.
E mentre il mio bus partiva alla volta del Paraguay, gli occhi pizzicavano, e mi accompagnava la strana sensazione che si fosse conclusa anche la mia di avventura.
Nulla di più sbagliato.
Perché come per uscire dal Paraguay il simpatico pullman NON si ferma nel lato Paraguaiano per la frontiera, ma solo in quello Argentino (e lo scopri solo quando ormai è troppo tardi), così fa anche al ritorno.
E sul mio passaporto ecco spiccare in vivido rosso il timbro di ingresso, invalidato dai due argentini di ida e vuelta, e nient’altro.
E così, alle tre di notte, con un sorrisetto soddisfatto, l’ufficiale di dogana prima del confine con la Bolivia mi dice che devo pagare 50 dollari di multa se desidero lasciare il paese. Altrimenti posso tranquillamente tornare ad Asunction e contattare il mio consolato.
Per un nanosecondo sono tentata, molto tentata. Odio questi giochetti per spillare soldi ai turisti (perché solo un turista fa questo percorso).
Ma la verità è che il Paraguay è stata la tappa infelice per eccellenza e non desidero prolungarla.
Il problema è che non mi avanza neanche un Guaranì.
Un signore di Sucre, molto gentilmente, si offre di prestarmi i soldi per pagare la multa. Ma scavando nello zaino trovo fortunatamente denaro Boliviano e riesco a convincere lo stro…zzino ad accettarlo e lasciarmi passare.
Per la prima volta sono certa che non rimetterò mai più piede nel paese che sto lasciando.
Dopo “solo” un altro giorno e mezzo di autobus, con pit stop a Santa Cruz, dove convinco due giovani Israeliani a partire con me (io e la mia boccaccia), eccomi finalmente a La Paz, che mi accoglie con un bel sole e il bel sorriso del ragazzo alla reception dell’ostello che, con mio grande stupore, non parla Castigliano.
Scopro dunque che è Inglese ed è rimasto bloccato qui da un mese a questa parte perché ha smarrito la carta di credito e dunque non può muoversi finché non gli invieranno la nuova (dopo mille peripezie burocratiche).
Poteva andargli peggio, infondo la città è un luogo piacevole dove soggiornare e pare che l’ostello autorizzi in via ufficiosa, un largo consumo di gangia, che lo tira su di morale.
Ma per quanto sia allettante questa piccola Amsterdam, la mia voglia di Perù è troppa e appena il bucato è listo si riparte, meta Puno, sul lago Titicaca.
Sul pullman reincontro una coppia di Cileni hippy coi quali ho condiviso il tragitto per La Paz e un giocoliere Argentino, cacciato dal paese perché beccato a malabar a un semaforo. A metà tra il divertito e il preoccupato mi mostra il foglio di via e mi chiede se secondo me potrà mai ritornare in dietro. Alla frontiera scopriamo che apparentemente no.
Ma entrambi abbiamo la sensazione che in realtà non sia così e ci divertiamo ad inventare mille modi per ingressar una otra vez in camuffa, davanti a una pizza fumante.
Purtroppo le nostre strade si separano perché mentre io desidero fermarmi sul lago, lui già prosegue verso Cusco.
E così, sentendomi incredibilmente in colpa, salgo su un risciò a pedali (ottimo per l’ambiente, ma che ti fa sentire una cicciona, per l’ansimare del conducente) che mi porta miracolosamente indenne, schivando tombini ed aggirando canali di scolo, fino alle porte dell’Inka’s Rest.
Appoggiare lo zaino e sentirmi benvenuta è questione di secondi. E in un amen sono a sghignazzare con Justin, afroamericano dalla Virginia, che minimizza il mio problema di liquidità (sì, miei cari, ho vissuto la meravigliosa esperienza di leggere la scritta “fondi non sufficienti al prelievo” sullo schermo del bancomat) dicendomi che non si sono mai viste persone bellissime senzatetto e che dunque non ho nulla di cui preoccuparmi.
E quando i complimenti ti arrivano così, ti spiazzano. Soprattutto se non ti fai la doccia da due giorni e ancora hai l’appiccicume delle 8 ore di bus. Cheddire??? Il fascino puzzone colpisce ancora…
Grazie a Dio il mio ex direttore di banca mi adora (e io lo corrispondo totalmente) e mi dice che entro 48 ore lavorative il mio fido verrà alzato. E grazie al progetto Isola di Pasqua ho pesos Cileni che converto in Sol e coi quali riuscirò a tenere botta fino a martedì/mercoledì, perché quando può succedere il tutto se non di venerdì???
Ma nonostante questi piccoli intoppi, già amo questo meraviglioso paese. E dopo aver visitato le isole flottanti, dove vive una comunità colorata e amichevole, che però mi costringe a cantare in pubblico (ho barato e mi sono spacciata per inglese per evitare un assolo, ben mi sta l’essere stata costretta a mimare una teiera) in cambio di una collanina con una barchetta di giunchi, ritengo conclusa la sosta Lago e mi preparo a raggiungere Cusco.
A malincuore mi separo da Justin, che soffre per l’altitudine e necessita fermarsi un paio di giorni per acclimatarsi, ma spero davvero di ribeccarlo qui, anche perché di Macchu Picchu non se ne parla finché non posso accedere alle mie finanze.
Del Perù già adoro la comida, famosa a livello internazionale, e i sorrisi di chi mi riconosce straniera e apprezza il mio parlare Castigliano. E mentre la Bolivia mi ricordava la Mongolia, qui c’è più aria di Thailandia, grazie ai tuk tuk che sfrecciano in ogni dove e al cibo veramente a buon mercato.
Cusco ti toglie il fiato e sono felice di essere bloccata qui per un po’. Ho nuovi amici, una coppia di Svizzeri un po’ matta e un ragazzo degli States che andranno in avanscoperta alle rovine per poi dirmi come fare.
Sono stata ad averiguar per l’Isola di Pasqua e, se i prezzi non incrementano in modo esponenziale da qui a mercoled¡, pare vi andro’ all’inizio di Giugno.
Essendo il Peru’ l’ultimo paese in programma, si sente un po’ aria di rientro, anche se ancora è lontano, e non vi nascondo che mi mancate molto. Purtroppo il prezzo per rivedervi è quello di ritornare a un lavoro che ogni giorno che passa sento non essere fatto per me, ma che non so con che altro sostituire.