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Scritto da nel Numero 100 - 1 Giugno 2013, Viaggi | 1 commento

Il paradiso personale

Il paradiso personale

Seduta sul tetto con una birra ghiacciata, guardo i gabbiani tuffarsi nell’oceano, mentre il sole lentamente scende a regalarmi l’ennesimo tramonto perfetto.

Penso alle ultime due settimane trascorse qui in Perù e a come abbia tentato di rallentare questi ultimi giorni, minuti, secondi, perché durassero il più possibile, rifugiandomi in luoghi dove il tempo scorre lento, senza scossoni.

A Huaraz in primis, cittadina di per sé anonima, ma punto d’inizio di innumerevoli track, dove in compagnia di quattro Canadesi, due Peruviani, tre muli e un cavallo mi sono inerpicata su per le montagne per dimenticarmi del mondo civilizzato per tre giorni. Fin tanto che non ho alzato gli occhi e visto il monte Artesonraju, simbolo della casa di produzione Paramount e ho sentito una piccola fitta di nostalgia per il mio amato cinema.

Il mio passo non allenato mi ha lasciata indietro innumerevoli volte, regalandomi la fortuna di godermi lo spettacolo della Cordillera Blanca in assoluta solitudine e la possibilità di fare un dono a un amico senza sentirmi troppo stupida (il tuo nome è rimbalzato tra i picchi, Antonio, te l’avevo promesso).

L’unica direzione che avevo deciso di seguire, all’inizio di questo viaggio, era quella di stare a vedere che succedeva e andare di conseguenza. Così, grazie al suggerimento di Tom, Olandese di 27 anni, in viaggio per un tempo indefinito grazie a finanze illimitate (e fino ad ora unico uomo per cui farei eccezione e mi sposerei, acconsentendo alla condivisione dei beni), dopo aver scalato le pareti di roccia de Los Olivos, quartiere periferico amato dai climbers, salgo sul bus verso l’oceano, per dedicarmi a un po’ di contemplazione prima del rientro.

Huanchaco, se si è gente di azione, non è il luogo adatto dove fermarsi. Ma se si cerca pace e surf, non si potrebbe chiedere di meglio.

Mi diverte che il mio stile nel cavalcare le onde sia chiamato goofy (piede destro avanti), come il personaggio disneyano che maggiormente mi somiglia e che l’alzarsi in piedi sia detto “take off”, cosa che oggi, causa mare grosso, mi è riuscita solo due volte.

In effetti è l’unico decollo che vorrei fare, ultimamente, ma tra due giorni mi aspetta l’aereo per Madrid, la mia micro fermata di decompressione prima dell’effettivo ritorno a Bologna, e benché Tom mi abbia raggiunta e invitata nella giungla, questa volta mi tocca dire no.

Questa cittadina di mare mi ha stregata, con il suo pesce freschissimo e i suoi ristoratori cordiali. E resterò fino all’ultimo a trastullarmi tra pellicani e tavole incerate e a fare il pieno di iodio, che tanto mi era mancato tra le montagne di Huaraz.

Ho praticamente smesso di scattare foto, ma invito ognuno di voi a immaginarsi il suo proprio paradiso personale e a pensare che io sono nel mio.

E se volete saperne di più su questo mio viaggio, il prossimo racconto ve lo farò, tra pochi giorni, guardandovi negli occhi.

1 Commento

  1. Questo racconto, come altri di Diana, è un incanto..lascia spazio e tempo per immedesimarsi e godere della sua visione, e, senza faticare, prende nel medesimo..in questo caso..paradiso.

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