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Scritto da nel Internazionale, Numero 107 - 1 Marzo 2014 | 0 commenti

L’autodistruzione del Sud Sudan

L’autodistruzione del Sud Sudan

“Giustizia, Libertà, Prosperità” è il motto della Repubblica del Sud Sudan, il più giovane stato al mondo, separatosi dal Sudan nel 2011 in seguito a referendum popolare che sancì con il 98% delle preferenze la secessione. Motto che dallo scorso dicembre non trova applicazione a causa di un sanguinoso conflitto etnico esploso tra le forze governative del Presidente Kiir, di etnia Dinka, e i ribelli dell’ex vicepresidente Machar, di etnia Nuer.
 
Il conflitto non è semplicemente etnico, la contrapposizione rischia di avere una rilevanza regionale essendoci un coinvolgimento diretto dei Governi dei paesi limitrofi. L’Uganda da una parte, che ha da sempre sostenuto la secessione e il presidente Kiir; il Sudan dall’altra.  Le ripercussioni sulla popolazione sono state immediate, con profughi che si sono riversati lungo i confini mandando in fibrillazione gli stati vicini.  Il degenerare della situazione ha infatti coinvolto nelle ultime settimane  anche Kenia, Eritrea, Rwanda, Tanzania, ovvero tutti quei paesi che detengono importanti rapporti con il Governo di Juba. L’Etiopia si è invece proposto come paese mediatore.
 
Come sempre accade, dietro la guerra si celano ovviamente interessi economici e petroliferi. Le infrastrutture petrolifere del nord, che rappresentano il principale asset per il paese, sono cadute sotto le armi dei ribelli che minacciano ora di stringere un accordo separato con Khartoum per l’esportazione di greggio. 
Alla luce di ciò si sospetta che dietro la ribellione dei Nuer ci sia in realtà Omar al Bashir, presidente del Sudan, intenzionato a impadronirsi nuovamente dei preziosi giacimenti petroliferi. Non è quindi da escludere il tentativo di una secessione del nord del paese per riavvicinarsi a Karthoum. 
Il colpo di coda del Nord è chiaro: l’intenzione del Sud Sudan di aprire una nuova via con un oleodotto attraverso Kenya ed Etiopia per il Mar Rosso è ovviamente una prospettiva inaccettabile per al Bashir. Al momento della secessione infatti  il Sud ereditò circa il 75% delle risorse petrolifere ma al Nord rimasero le principali infrastrutture e soprattutto l’accesso alle esportazioni attraverso lo sbocco sul Mar Rosso.
 
Il timore è che si inneschino pericolose dinamiche già viste in altri contesti, come recentemente in Mali, con infiltrazioni da parte di Al Quaeda, integralisti religiosi e criminalità organizzata. 
Nonostante il cessate-il-fuoco sottoscritto tra le parti il 23 gennaio, la situazione tende a peggiorare con incessanti violenze e migliaia di morti. La capitale dell’Alto Nilo Malakal viene contesa dai due eserciti in un tiramolla distruttivo: saccheggi e omicidi hanno svuotato la città. 
La gente scappa disperata verso le campagne in cerca di rifugi e sicurezza. I profughi sono centinaia di migliaia.

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