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Scritto da nel Internazionale, Numero 112 - 1 Agosto 2014 | 0 commenti

La maglia gialla di Nibali e l’etica di noialtri

La maglia gialla di Nibali e l’etica di noialtri

Si possono aprire discorsi lunghi come la Quaresima sulla retorica delle vittorie sportive. Ma quelle di Vincenzo Nibali a Chamrousse e Hautacam sono state enfatizzazioni sensazionali dello spirito e dei valori del ciclismo. È indimenticabile l’immagine della tranquillità che trasmette l’uomo mentre sale i tornanti delle Alpi e dei Pirenei lasciando tutti gli altri indietro a zigzagare. Lui sale imperterrito fino a tagliare il traguardo, mettendosi il dito in bocca per salutare la figlioletta e battendosi il cuore per dedicare i suoi sforzi a chi ama, poi trionfando nel levare le braccia dal manubrio e spingendole al cielo.

Ecco: nello stesso modo, ma con parole di situazioni diverse, iniziava l’articolo sull’etica di noialtri che avevo scritto dopo la vittoria di Nibali al Giro dell’anno scorso. Un articolo che continuava trattando appunto temi di filosofia della pratica per poi giungere a una proposta: puntare lo sguardo alla grande vittoria del ciclista per estrapolarne i comportamenti, il senso alto, il modo in cui è stata riportata. Con l’obiettivo di raccordare alla giustezza di chi affronta una difficoltà con spirito di sacrificio le nostre situazioni, come individui per sé e come individui nella collettività.

La vittoria di Nibali non è casuale. Tutto il suo Tour è stato gestito in maniera estremamente intelligente (la tappa dei Pirenei stravinta quando gli altri per seguirlo si spezzavano fiato e gambe ne è un esempio lampante), ma Chamrousse è stato qualcosa di diverso. E qualcosa che è arrivato nel giorno del centenario della nascita di Gino Bartali. Come sarebbe facile pensare al trionfo del Toscanaccio e dirci: ecco che come nel ’48 un italiano vince il Tour de France e gli animi si chetano, eccetera. Invece no, al contrario. Perché Nibali al solo pedalare mostra tutta la sua passione ciclistica per Fausto Coppi: ripensare a Bartali, oggi, fa ripensare all’uomo. A colui che con la bicicletta salvò tante vite buggerando fascisti e nazisti. Oggi la cosiddetta Terrasanta vive l’assedio portato da uno stato – forse democratico al suo interno, certamente terrorista oltre frontiera – a uno stato inesistente, che forse ha proprio nella sua imperfetta realizzazione la più grande debolezza. Ma oggi ogni uomo libero, nato fortunatamente in un paese democratico, dovrebbe sentire il desiderio di portare un messaggio di pace e non un atto di guerra. Ed è per questo che il riscatto a cui dobbiamo pensare è il riscatto dei diritti dell’uomo, tenuto bloccato dalle situazioni di guerra in Asia, in Medioriente e in Africa e dalle ingiustizie sociali nei paesi più ricchi. Tutte queste gravi situazioni dipendono da una grave carenza nei cuori e nei cervelli degli esseri umani: derivano dalla mancanza di un moto civile che in ciascuno si agiti quando ciò che ha davanti non è accettabile, e che si muova in modo propositivo per spingere a miglioramento la realtà che circonda ognuno. Non c’è molta differenza fra quel che hanno vissuto i partigiani e Ginettaccio durante la Seconda Guerra Mondiale, rischiando la vita per gli altri, e quel che vive oggi chiunque nel mondo resista a un’occupazione militare, a un gesto violento, a un’ingiustizia.

E ancora una volta (http://www.larengodelviaggiatore.info/2013/06/la-maglia-rosa-di-nibali-e-letica-di-noialtri/) torno a scrivere che è esattamente quel che dovremmo fare noi; metterci al servizio l’un dell’altro, perché quand’anche si soffra un poco per far star meglio un altro uomo, in un futuro più o meno lontano arriverà il proprio turno. L’unico obiettivo, l’unico punto a cui tendere per ottenere una direzione certa, dovrebbe essere quello che diceva sempre il buon vecchio Aristotele a suo figlio Nicomaco: il bene. E pensando a difendere l’anziano in ospedale o ad aiutare il senzatetto per strada, a tutelare il bimbo a scuola o a promuovere l’amore fra due giovani, allenandoci a farlo in ogni momento della nostra giornata e a farlo sempre meglio, possiamo concentrarci su un fine che consente di toccare con mano la vittoria dell’uomo nella collettività. Che, guarda un po’, chiama alla mente una certa somiglianza alla vittoria dell’uomo in uno sport apparentemente solitario eppure così di squadra come il ciclismo.

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