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Scritto da nel Numero 116 - 1 Febbraio 2015, Viaggi | 0 commenti

Racconti da San Pietroburgo – Prime impressioni

Racconti da San Pietroburgo – Prime impressioni

Il gruppo bolognese Jacaré consiglia di evitare la danza dei saluti, mentre si sta per intraprendere un viaggio, in quanto il primo passo lo si sarà già fatto molto tempo prima della partenza. Io mi trovo a dissentire e ricordo con incredibile calore i sorrisi, gli abbracci e le lacrime che hanno preceduto il fatidico 8 Gennaio, giorno nel quale mi trovo a Copenhagen nel modernissimo ed immenso aeroporto, ancora non troppo consapevole di aver lasciato l’Italia per un periodo così lungo.

L’aereo atterra leggermente in ritardo, senza minimamente intaccare la mia tabella di marcia: il piano è quello di trovare un posticino appartato dove accamparmi fino all’indomani.
 
Sentendomi un po’ come Tom Hanks mentre avvicino due panche producendo un fastidiosissimo stridio metallico, penso a quanto sia discriminante nella società  il luogo in cui ci si trova relazionato a ciò che si sta facendo. Dormire in aeroporto è perfettamente normale. Gente di qualunque etnia, ceto sociale, sesso, fede, credo politico, si sbraca alla bella e meglio  come può su panchette leggermente imbottite, giocando all’incastro dei piedi perché passino sotto ai braccioli consentendo una posizione non troppo fetale. E nessuno batte ciglio. La medesima scena, ambientata in una stazione dei treni, produrrebbe invece dissensi e farebbe aumentare il passo a molti di noi.
 
Sorprendentemente comoda e immersa nella lettura vengo avvicinata da un addetto della SAS che si informa molto delicatamente sul perché io stessi lì. Alla mia risposta: “Perché domani ho un volo per San Pietroburgo” , mi chiede solerte se fosse stato pianificato così dall’inizio o se il mio permanere fosse causato da un loro disservizio. Mi piacciono questi Danesi. Rassicurato sulla perfetta efficienza della sua compagnia aerea, mi augura la buonanotte e se ne va.
 
L’alba mi trova incredibilmente riposata e alla ricerca di un caffè. La mia carta di credito non funziona, forse perché il macchinino non si è svegliato altrettanto bene e prima la vuole chippata, poi strisciata, poi non la vuole più, tant’è che chiedo di pagare in Euro e mi viene risposto che posso solo pagare in banconote e che avrò il resto in Corone. Ottimo, avrò 4 euro e 80 in monetine danesi la cui unica funzione sarà quella di tintinnarmi in tasca. Ma d’altronde, un Caramel Macchiato è pur sempre un Caramel Macchiato…
 
Il gate è l’ultimo infondo, ma proprio l’ultimo, passato un interminabile corridoio di gente in infradito e bermuda pronta a partire per Phuket o Bangkok, raggiungo finalmente colbacchi e scarponcini e una gentile hostess di terra che mi chiede se ho il visto per la Russia. La tentazione di dirle che no, non sapevo ci volesse e che ho superato i controlli solo grazie alla mia incredibile abilità di bionda e che conto di fare lo stesso alla dogana Russa è forte, ma il buon senso ha la meglio e la invito a girare un paio di pagine ed a verificare lei stessa. 
 
E’ fatta. L’aereo decolla puntuale e mentre servono tè e caffè noto che un altro passeggero paga in euro uno snack e riceve il resto di una moneta da due. Euroeka! Con il mio miglior sorriso chiedo al simpatico stuart se fosse così gentile da cambiarmi le mie monetine inutili con denaro vero. Gli chiedo 3 euro in cambio di 30 Corone ma lui inorridito mi risponde che me ne darà 5. Sono deliziata. E alla facciaccia di Shakespeare non trovo alcun marcio in Danimarca.
 
A Leningrado invece trovo la neve e un groppo in gola. E’ surreale essere di nuovo qui. Il terminal è completamente nuovo e non lo conosco, ma trovarne l’uscita ed incontrare il mio autista è piuttosto facile. 
Mentre il traffico scorre veloce tra i grigi palazzoni della periferia di San Pietroburgo scambio due parole con Sasha che mi racconta come sia nato e cresciuto qui e come l’amministrazione locale abbia sperperato milioni nel costruire una sontuosa sede fuori porta del Comune, per poi accorgersi che quella attuale, situata nel cuore della città in un palazzo storico e bellissimo, andava benissimo così.
 
Martin mi aspetta di sotto. Guardando quella che a me sembra una valigia immensa mi chiede “Tutto qui? Starai qui per 8 mesi e riesci ad avere una mano libera tenendo il bagaglio’?”. Abbozzo una spiegazione della strategia alla “capra e cavoli” che coinvolgerà i miei futuri ospiti che porteranno oltre confine i miei vestiti estivi (grazie amore!) e una mozzarella vera (mamma, mi sa che questa toccherà a te, è impensabile che la mozzarella Galbani sia considerata l’unica e sola) e lo seguo in quella che spero sarà la mia casa qui, almeno per un po’.
 
Vi lascio immaginare cosa il connubio tra un vetusto appartamento sovietico e due giovani maschi Inglesi abbia prodotto, ma in fondo me lo aspettavo. Per questo oggi, armata di buona volontà, ho sfrattato la colonia felina che soggiornava in ogni anfratto della mia camera ed ho aggiustato il letto (due reti per terra) e l’armadio, inchiodandone il fondo e spostandone un’anta.
L’espressione di sorpresa del mio coinquilino mentre facevamo colazione alla frase “Buongiorno, abbiamo un martello?” è valsa ogni starnuto.
Per fortuna bagno e cucina sono in condizioni di ragionevole pulizia.
 
Con grande pazienza da parte dei commercianti locali sono riuscita anche a procurarmi una SIM Card e un nuovo set di lenzuola. E per la prima volta, in 10 anni, sono ansiosa di andare all’IKEA per fare acquisti. Cosa non fanno un materasso scomodo, un piumino corto e un cuscino durissimo!
 
Lunedì si comincia la scuola!
 
Vi penso tanto.
 

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