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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 127 - 1 Marzo 2016 | 0 commenti

Occupazione, dati contrastanti

Occupazione, dati contrastanti

Facendo un semplice raffronto con l’anno precedente il tasso di disoccupazione a dicembre 2015 segna un – 0,9%  attestandosi all’11,4% contro il 12,3% rilevato a dicembre 2014.  Tuttavia, occorre evidenziare  che  a novembre 2015 il tasso ufficiale recitava 11,3% . Ergo tra novembre e dicembre ci siamo giocati uno 0,1% (che tradotto significa 21 mila posti di lavoro in meno). Briciole, qualcuno dirà, ma tant’è i dati sono questi: numeri freddi ed incontestabili.   Il tutto senza dimenticare che a partire dal 2016 l’ammontare massimo dello sgravio fiscale per le imprese che assumono con contratto a tempo indeterminato (ora chiamiamolo pure Jobs Act) scende da 8.060 a 3.250 euro annui.

A conti fatti si tratta di 135 mila occupati in più (saldo tra assunzioni e licenziamenti avvenuti nei 12 mesi con il Jobs Act pienamente operativo). Per ottenere ciò, lo Stato italiano ha investito la bellezza di 1,8 miliardi di Euro, ovvero quanto previsto dalla Legge di Stabilità per il 2015 entrata in vigore il 1 gennaio 2015. Visto l’importante investimento per le già martoriate casse del Belpaese possiamo tranquillamente affermare che i risultati sono deludenti.

E ricordiamo che per avere un’idea più chiara circa gli effetti del Jobs Act occorrerà attendere almeno 3 anni dalla stipula del contratto di lavoro, ma se già ora gli effetti si stanno lentamente sgonfiando, non è poi così difficile fare previsioni sul prossimo futuro. Ricordiamo che il Jobs Act non prevede effetti retroattivi. Infatti, il vecchio contratto a tempo indeterminato è tutt’ora valido per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, di conseguenza le vecchie tutele dell’art. 18 resteranno applicabili ad un numero sempre più basso di lavoratori. Alla faccia della decantata flessibilità del lavoro, è facile prevedere che un lavoratore cinquantenne difficilmente lascerà il proprio posto per un contratto avente meno tutele. Per quale motivo infatti un lavoratore residente in un Paese dove storicamente chi nasce ricco muore ricco e chi nasce povero muore povero dovrebbe abbandonare un contratto di lavoro a tempo indeterminato per un nuovo contratto a tutele crescenti dove, qualora fosse licenziato in maniera illegittima, potrà aspirare solo ad un indennizzo economico legato all’anzianità di servizio?

Qualche buona notizia comunque l’avvento del Jobs Act l’ha portata in dote. Vi è infatti un’ inversione di tendenza per quanto riguarda il fenomeno prettamente italico delle false partite IVA molto comune fra i giovani (penso al variegato mondo delle professioni ma anche a lavori di stampo più creativo come il caso dei grafici pubblicitari) in favore del nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Intanto sul fronte previdenziale da febbraio 2016 è stato introdotto un nuovo assegno di disoccupazione per chi ha fruito della Naspi (ossia l’ex “disoccupazione”) nel corso del 2015. Durerà per sei mesi e sarà pari al 75% dell’ultima indennità Naspi percepita dal richiedente più eventuali bonus per eventuali figli a carico, nella viva speranza che l’interessato trovi al più presto una nuova occupazione.

Analizzando gli ultimi dati Istat occorre altresì evidenziare che il tasso di disoccupazione giovanile (relativo a ragazzi di età compresa fra i 15 ed i 24 anni) cala ancora a dicembre 2015 fermandosi al  37,9% con una diminuzione di 0,1 punti su novembre ma soprattutto di un 3,3% su dicembre 2014. Il 37,9% attuale rappresenta il tasso più basso degli ultimi 3 anni. Dati importanti si dirà, ma andando indietro di qualche anno scopriamo che nel lontano dicembre 2007 il numero dei senza lavoro in Italia nella fascia compresa tra i 15 ed i 24 anni era fermo al 22,2%. Grasso che cola confronto ad ora. Da tempo si parla in Europa di un rafforzamento delle politiche attive del mercato del lavoro. Ma più passa  il tempo e più aumenta il numero dei potenziali interessati aumentando il divario in termini di occupati fra Nord Europa e Sud Europa.

A conti fatti tornando all’Italia possiamo affermare che nonostante le condizioni congiunturali siano tutto sommato favorevoli con un deficit permesso dall’UE che supera quanto disposto dal fiscal compact, con il petrolio a prezzi stracciati e i tassi di interesse sotto allo zero, la disoccupazione cala pochissimo restando fra le più alte d’Europa.

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