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Scritto da nel Numero 129 - 1 Maggio 2016, Scienza | 0 commenti

Quando emigra la scienza

Quando emigra la scienza

Protagonista di una mostra a Bologna che sta riscuotendo molto successo, Enrico Fermi è stato un gigante nella fisica del XX° secolo. Ci è voluta tutta la stupidità del regime fascista per perdere una simile mente scientifica, costringendo lo scienziato a trasferirsi negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali che minacciavano la moglie ebrea.

Già da studente Fermi dimostrò le sue straordinarie capacità. Mentre frequentava l’ università di Pisa, si dedicò autonomamente allo studio della fisica quantistica e relativistica e gli stessi docenti non esitavano a consultarlo per avere notizie sugli sviluppi più recenti di questi settori di avanguardia.

Nel 1927 Fermi divenne titolare del primo corso in Italia di fisica teorica, presso l’ Università di Roma. Passato dall’ altro lato della cattedra, lo scienziato si dimostrò un docente di talento. Nell’ Istituto di via Panisperna, sede della facoltà, sotto la sua guida si formò un team di ricercatori di levatura internazionale: Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana ed. Emilio Segrè, nobel per la fisica nel 1959. Fermi avrebbe ripetuto l’ impresa anni dopo negli Stati Uniti, dove diversi dei suoi allievi all’ università di Chicago riceveranno in seguito il massimo riconoscimento scientifico.

Il gruppo di via Panisperna, del quale faceva parte anche Franco Rasetti, compagno di studi di Fermi, ottenne importanti risultati nell’ ambito della spettroscopia. Ma all’inizio degli anni Trenta, con la scoperta del neutrone,  la fisica nucleare si stava rivelando un campo di ricerca molto più promettente. A quel punto il gruppo si divise e diversi membri si recarono in laboratori d’ avanguardia all’estero, una sorta di fuga di cervelli antelitteram.

Fermi continuò a studiare l’ atomo in Italia e il suo lavoro ottenne l’ apprezzamento, oltre che della comunità internazionale dei fisici, anche di un altro gigante nostrano della scienza, Guglielmo Marconi.

Ma i tempi stavano cambiando, l’ endemico vizio italico di finanziare col contagocce la ricerca e l’ atteggiamento sempre più minaccioso del regime fascista verso gli ebrei, portarono lo scienziato a prendere la decisione di trasferirsi negli Stai Uniti. La sua partenza nel 1938 da Stoccolma dopo aver ricevuto il premio Nobel per la Fisica, appare come un amaro presagio per il futuro della scienza nel nostro paese.

Dopo alcuni anni alla Columbia University di New York, Fermi si trasferisce a Chicago dove può proseguire i suoi studi di fisica subnucleare con risorse e tecnologie impensabili in Italia. Oltre a realizzare la prima pila atomica nel 1942, lo scienziato darà un contributo fondamentale allo sviluppo dell’ acceleratore di particelle a quei tempi più potente del mondo, il ciclotrone antenato dell’ attuale Large Hadron Collider del Cern di Ginevra.

L’ Italia rivedrà Fermi solo nel dopoguerra, quando il fisico tornò per tenere diversi cicli di conferenze. Lo scienziato non aveva mai dimenticato il belpaese, nel 1948  scrisse una lettera all’ allora Presidente del Consiglio De Gasperi a sostegno dell’ aumento di risorse per la ricerca. Un documento che qualche politico potrebbe rileggere….

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