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Scritto da nel Numero 130 - 1 Giugno 2016, Politica | 0 commenti

Il pugnale extraterrestre e la piccolezza cosmica dell’uomo

Il pugnale extraterrestre e la piccolezza cosmica dell’uomo

Al solo nome di Tutankhamon la mente spicca il volo per un viaggio che attraversa il Mar Mediterraneo e raggiunge l’Egitto. Il nome del faraone bambino evoca molto più di quel che effettivamente abbia significato la sua esistenza terrena: quando nel 1922 Howard Carter scoprì la sua tomba capì subito, certamente, che viveva un momento storico di grande importanza, ma non poté forse immaginare che a distanza di un secolo avremmo ancora trovato occasione d’entusiarmarci per novità emerse a riguardo dei rinvenimenti ch’egli fece. È dello scorso 20 maggio la notizia – apparsa in una online early view della rivista dell’International Society for Meteoritics and Planetary Science – che una ricerca effettuata da ricercatori italiani ed egiziani ha evidenziato l’origine meteoritica del ferro con cui è composta la lama di uno dei due pugnali che accompagnavano la salma mummificata di Tutankhamon.
Lo studio è importante perché testimonia come la lavorazione del ferro costituisse una realtà avanzata già nel XIV secolo avanti Cristo (quindi ancora in piena Età del Bronzo), indicando come gli Egizi – al pari dei Sumeri – fossero perfettamente in grado di individuare nei frammenti metallici di asteroidi una risorsa che più tardi sarebbe risultata determinante della storia dell’uomo (a tal riguardo si legga l’illuminante Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond).
Ma non solo: non si può leggere questo studio (che si scarica qui) senza far correre la mente alla paleoastronautica e alla teoria del contatto fra popolazioni antiche e alieni. Invece, a me, questo studio fa pensare alle prossime tornate di votazione. A quelle amministrative e a quelle referendarie. La storia racconta di genti antiche e genti moderne, disegni parietali e verità cuneiformi, architettura degli spazi e della costruzione di epoche; la fantasia nella storia, ovvero i tentativi di ricostruire il passato che non si conosce – talvolta lasciandosi andare a improbabili offerte di chiavi di lettura per il presente e tanto peggio per il futuro – racconta di genti di questo pianeta e genti extraterrestri, coincidenze e segni nel cielo, apparizioni miracolose e supposizioni speranzose. In tutti questi casi si parla di gruppi più o meno grandi di persone che decidono di fare qualcosa, determinare qualcosa, sperare qualcosa o credere in qualcosa; il mio interesse va invece, sempre, a quell’unico vero protagonista della realtà che è l’uomo. Il singolo; quello che fa, determina, spera, crede, o nulla di tutto ciò.
Alle elezioni amministrative di Roma i candidati non fanno altro che usare generalizzazioni spaventose: le persone non esistono, rimpiazzate da gruppi retorici quali la comunità e il quartiere o astrazioni ridicole come il bene della gente e la grandezza della città. Il dibattito è completamente incentrato sulla politica nazionale: tutti dicono che parlano di problemi reali ma in nessun programma dei quattro big (Giachetti, Marchini, Meloni, Raggi) si leggono soluzioni possibili e plausibili, mentre infuriano le schermaglie fra Piddì e Cinquestélle, fra esponenti milanesi di Forza Italia ed esponenti milanesi della Lega. Quanto alla politica nazionale, il dibattito è completamente incentrato sul sì o no al referendum costituzionale di ottobre, riunendo tutti in manciate di votanti per l’una o l’altra parte: sì per cambiare e no per conservare, oppure sì per distruggere e no perché quel che abbiamo va difeso a prescindere. Il presidente del Consiglio fa fasci di persone: l’Italia che dice sì non è solo un motto, ma anche un programma in cui si presuppone che le libere scelte nelle urne non lascino liberi cittadini dopo le elezioni, ma che incanalino in una parte buona o in una cattiva del paese. Per contro assistiamo allo stesso comportamento a parti invertite; perfino l’Anpi, che teoricamente dovrebbe custodire nei valori della Resistenza partigiana il più puro anelito di libertà, decide di schierarsi in toto per il no – si vedano a tal riguardo gli interventi di Gian Antonio Stella sul Corriere del 16 maggio e di Tiziano Tussi sulle Nuove Resistenti n. 591 – legando i suoi iscritti al dubbio di stracciare una tessera che troppo spesso sembra distinguere un movimento politico e non un’associazione che, come dice lo statuto, si batte “affinché i princìpi informatori della Guerra di Liberazione divengano elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni”.
Insomma, nessuno pensa a nessuno e tutti pensiamo a tutti, comportandoci come se esistessero solo macrogruppi di persone; l’uomo è relegato a una piccolezza che per la sua mancanza d’importanza si potrebbe dire, dato il tema, cosmica. Un atteggiamento assai retrogrado in una società avanzata e ricca d’offerta culturale come la nostra, in cui non mancano certo gli strumenti per garantire lo sviluppo di coscienze che non si debbano piegare a compromessi mentali e possano sfruttare il libero arbitrio non solo nell’azione, ma in principio nel pensiero.
Mi piacerebbe sapere chi fu quel primigenio fabbro. Mi piacerebbe sapere cosa pensava mentre lavorò quel pugnale; mi piacerebbe sapere se intuiva la provenienza del metallo che faticosamente formò e rifinì in una lama che non sarebbe mai stata utilizzata per tagliare, ma solo per accompagnare un altro uomo a cui tutti si sarebbero interessati per l’eternità; mentre a lui, che forse in quella tomba finì sé medesimo, proprio a lui come persona con idee e sensazioni, non avrebbero pensato né Tutankhamon né Howard Carter, né il ricercatore che ha analizzato il pugnale né il lettore della rivista che si è entusiasmato per la scoperta.

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