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Scritto da nel Numero 170 – Primavera 2022, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

I leggenti

I leggenti

 Un uomo sulla trentina castano con gli occhi chiari alto circa un metro e settantacinque vestito con un paltò blu scuro su un paio di jeans e scarpe marroni sale su un autobus a Roma. C’è un sacco di gente sull’autobus. Soprattutto c’è una donna sulla trentina mora con gli occhi chiari alta circa un metro e settanta vestita con una giacchetta bordeaux e una sciarpa blu su pantaloni scuri e scarpe marroni che è seduta e sta leggendo “La bella estate” di Pavese.

L’unico posto libero in piedi per abbracciare un sostegno col braccio, puntare il piede sinistro e incrociare il destro è davanti alla donna sulla trentina eccetera che anche se lui non lo sa si chiama Ginia. L’uomo sulla trentina eccetera che anche se lei non lo sa si chiama Ángel si appoggia proprio lì, tira fuori “Il ballo della Vittoria” di Skármeta e si mette a leggere.

Alla fermata successiva Ginia alza lo sguardo verso il finestrino per rendersi conto di a che punto sia la sua corsa, e con la coda dell’occhio nota la figura di Ángel che tiene il libro appoggiato sul palmo della mano sinistra e sposta inutilmente la destra sulle righe non lette fino a darle un senso facendole girare pagina. Ginia è incuriosita dal volume e le viene voglia di sapere che cosa stia leggendo Ángel. È un tratto tipico comune a molti lettori: la smania di sapere quale libro stia leggendo l’altro. Innanzitutto per immaginare quanti libri in più e più belli si sono già letti, oppure per poter pensare ma guarda che roba, questo qua legge questo libro meraviglioso solo ora. Una volta a Ginia le era successo al mare che c’era una signora che leggeva “La formica argentina” di Calvino e si chiedeva ma come fa a esserci arrivata solo ora, anche se Ginia mancava di sapere che quella signora era una che leggeva il doppio di lei e “La formica argentina” è un libro che questa povera signora se lo leggeva almeno un paio di volte all’anno. Oppure un’altra volta c’era un signore vecchissimo che leggeva “Grandi speranze” di Dickens e Ginia pensò, solo a quest’età è arrivato a leggerlo, ed effettivamente era la prima volta che lo leggeva in novantasei anni di vita, però intanto lo stava leggendo, e Ginia non aveva mai letto neanche la quarta di copertina di “Grandi speranze” di Dickens.

Insomma Ginia appoggia “La bella estate” sulla coscia tenendo il segno con un dito, e si sporge in basso per cercare di vedere che libro stia leggendo Ángel. Lui se ne accorge perché in realtà la stava guardando da quando si stava aprendo la porta dell’autobus, attraverso il vetro, prima ancora di salire. Sposta la mano sinistra e impugna il libro altrimenti, tirandolo un poco in su ma facendo finta di niente. Ci sarebbe riuscito anche benino se non avesse deciso di farlo schiarendosi la voce, cosa che se non si ha la tosse si fa tipicamente quando si è in difficoltà o si sta provando a fare finta di niente. Ginia vede la copertina. Dall’autore del Postino di Neruda. Antonio Skármeta. “Il ballo della Vittoria”. Un romanzo d’amore e di amicizia. Bah. Mai sentito. Poi questi autori che vendono i diritti al cinema non le piacciono. Il Postino però è un bel film. E comunque chissà, un romanzo d’amore e d’amicizia.

Ginia decide che quel libro non le interessa; quindi, per via di quegli automatismi strani che alle volte s’innescano senza neanche pensarci, non le interessa Ángel. Riapre Cesare Pavese, sicura della qualità della sua lettura, e non ci pensa più.

Fatto sta che mentre lei sbircia il titolo del libro di Ángel, sbilenca sul sedile, lui ne approfitta per guardarle meglio il viso; aveva già notato i capelli, nerissimi e lucidi a caschetto sulle spalle, ma ora vede bene che sotto agli occhiali trasparenti e al naso greco c’è una bocca sottile, labbra rosse, invitanti. Lei si vede che avverte la pressione del bulbo oculare di Ángel perché d’un tratto alza gli occhi; per cercare di non farsi notare, che la stava quasi mangiando con la vista, lui distorce lo sguardo con un movimento della testa così impacciato che a lei quasi vien voglia di sorridere, ma non si può compromettere e quindi si trattiene; però questo suo ingarbugliarsi l’ha messa di buon umore.

A ogni modo, Ginia si rimette a leggere; e ora sembra ben presa dalla faccenda, perché non stacca più gli occhi dalle pagine. Ángel può cogliere l’occasione per guardarla con calma, ma si sente osservato, gli pare che tutti fissino lui mentre lui fissa lei. Che ricordasse, non vedeva una donna così bella da quando la Clara l’aveva lasciato ed era scappata via.

Dopo qualche minuto lei chiude il libro e si alza. Lui chiude il libro e sta in piedi e fa finta di guardarsi intorno per capire dov’è, ma anche se è a Roma da due mesi lo sa benissimo che è al Circo Massimo, da una parte c’è un prato lungo un chilometro e dall’altra un orrendo palazzo bianco che poi sarebbe la FAO, e a pensarci bene non è neanche così brutto come palazzo. Comunque lei si alza e si prepara a scendere con gesti veloci, chiude il libro sempre con un dito in mezzo, fa fare alla sciarpa un giro in più intorno al collo, raccoglie un orecchino che le è caduto mentre si girava la sciarpa intorno al collo, si tira su gli occhiali che le scivolano sempre sulla punta del naso quando si china per raccogliere qualcosa, e finalmente si avvicina alla porta dell’uscita, il che vuol dire che dal suo posto fa un passo e i loro due visi sono a venti centimetri di distanza. Si ferma lei davanti a lui, si ferma l’autobus. Si guardano negli occhi mentre qualche passeggero che non li vuole lasciare in pace domanda scusa per passare o li guarda incuriosito dalla scena.
Ángel si accorge che ha degli occhi verdi molto grandi. È imbarazzato. Ginia ruota leggermente la testa, quasi in maniera impercettibile, verso la spalla sinistra, come se aspettasse qualcosa. Lui abbozza un sorriso. Lei improvvisamente sembra scuotere disinganno giù dal volto. Si scosta e scende.

Mentre le porte si chiudono Ángel pensa che Ginia abbia risposto al ghigno che lui ha fatto cercando un sorriso con gli occhi. L’autobus riparte e si ferma dopo neanche dieci metri, al semaforo arancione. Lei è lì che sta per attraversare la strada e ha già il libro aperto in mano, per leggere anche camminando.
Ángel sbatte contro tutti e si scusa per correre davanti dove c’è l’autista. Gli chiede di scendere ma l’autista gli dice di no. Alla fermata. È importante. Non può, se inciampa e si fa male poi lui lo licenziano. Ángel si tuffa sul tasto per aprire la porta e gli chiede perdono, ma deve proprio scendere. L’autista si arrende e non richiude.

Ginia è già sull’altro marciapiede e il pedonale segnala il rosso. Lui schizza fra due o tre motorini che lo stanno per investire e strombazzano arrabbiati. La raggiunge con un po’ di fiatone, più per paura che per fatica. La prende per la spalla destra. Lei si ferma e si volta.

“Scusa, non ho mai fatto una cosa del genere prima d’ora”.
“Non ti preoccupare. Anzi”.

 

10 agosto 2022

 

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