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Scritto da nel Il Mondo nel Pallone, Numero 141 - 1 Giugno 2017 | 0 commenti

Francesco Totti #10

Francesco Totti #10

Il direttore mi chiede un pezzo su Francesco Totti. Ça va sans dire: sono cresciuto a Roma, ci ho abitato per venticinque anni e me ne sono andato da pochi mesi. Curioso! La mia vita a Roma è durata a un dipresso quanto la carriera del Capitano nella Roma. Non voglio però cadere nel trabocchetto dei propri ricordi, perché di un personaggio come Totti sono in molti – a Roma – ad avere almeno un ricordo personale: un incontro, un sorriso, un palleggio, un evento condiviso. Non importa dire di ciò, tranne che dirne agli amici. Né importa stare a scrivere della carriera di uno dei giocatori italiani più forti di sempre; né della sua sinceramente umana incapacità a risparmiarsi comportamenti insolenti o addirittura aggressivi nei riguardi di altri calciatori – molto più scarsi di lui, beninteso, e dunque ancor più da difendere; né del suo mettere l’appartenenza a una squadra prima del desiderio di conquistare trofei (che pure ha conquistato) e di battere record (un elenco sarebbe davvero complesso da redigere). Non serve scrivere dei suoi immani guadagni, né degli immani guadagni mancati per restare a Roma, né della sua capacità di offrire denari e presenza alle più varie cause benefiche. Potremmo invece parlare dei gol segnati, degli assist serviti ai compagni, delle giocate con cui ha deliziato gli stadi. Ma io credo che sia tutto inutile e, mi permetta il lettore, palloso, ove non si parla di noia ma di palla.

Francesco Totti è un essere umano che ha offerto sé stesso a una città. Lo ha fatto sacrificando la sua riservatezza e la sua timidezza, la sua abitudine a essere bravo figliolo e ragazzo di quartiere. Ha offerto invece al mondo un gran calcio e la figura di una persona vera, esponendo sé, con il suo straordinario talento e i suoi ordinari limiti, al giudizio del più lontano sconosciuto sul più subdolo commento di social network. Che cos’è questo, se non umanesimo della modernità? Credo che perfino Jean-Paul Sartre avrebbe potuto trovare grandi spunti in questa figura di piena espressione sociale. Così, non ne dubito, un giorno Totti potrà comprendere che – stando al grande scrittore francese – l’esistenza precede l’essenza; qualcosa che ieri egli ha vissuto e sofferto, probabilmente senza rendersene conto.

Per i romanisti il Capitano sarà sempre il Capitano; in ogni epoca ce n’è stato uno, è vero. Fulvio Bernardini, Giacomo Losi, Ago Di Bartolomei, il principe Giannini. Ma Totti è Totti, è uno per tutti, sono diciott’anni di fascia sul braccio, con meno soddisfazioni di quelle che avrebbe meritato. La vita delle persone è così: un sacco di fatica e di dolore, qualche gioia. Eviterei la discussione sulla ricchezza, chiaramente impropria e non di responsabilità del singolo; in fin dei conti, si parla di sportività; di partecipare. Totti ha partecipato, sempre, disinteressandosi di vincere. Se questa non è un’icona dello sport come dovrebbe essere, vuol dire che lo sport non ha senso di essere.

Quello che mi piace del mio Capitano, quello che mi lega a lui nel profondo, non sta solo nella condivisione della maglia, dei colori, della passione per uno sport che cambia troppo velocemente, nell’incarnazione di una riscossa della città di Roma che siccome manca nella socialità può essere spronata nella leggerezza di un orgoglio calcistico. Del mio Capitano terrò sempre nel cuore la sua capacità di mostrare come un figlio del popolo può farcela grazie alla pazienza di coltivare un talento, la rabbia delle cose che non stanno bene, l’evidenza di essere più forte di tutti in qualcosa, il diritto di sbagliare a comportarsi, la sopportazione delle diversità di cittadini ingestibili e unificabili solo dalla passione per qualcosa di effimero come il loro desiderio di star bene. Del mio Capitano terrò sempre nel cuore una lezione che mio nonno, che era poeta, spiegò a mia cugina: non c’è bisogno di mettere orpelli nei versi per fare poesia. Questo uomo eccezionale – e questo francesismo è incontestabile! – ha fatto qualcosa di simile: ha prodotto un manuale di calcio che è diventato simbolo di un umanesimo a cui spero che tutta la sua città sappia richiamarsi. Provare ad eccellere, non temere l’errore, puntare sulla propria forza, non vergognarsi dei propri sbagli ma servirsene per migliorare sé e con sé la specie.

Detto ciò: grazie, Capitano, perché se anche non te ne rendi conto quel che hai fatto è molto più che dar calci a dei palloni. La poesia si può trovare ovunque si guardi. Trovare un poeta è più difficile. Così, credo, accade per il calcio.

 

 

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