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Scritto da nel Numero 134 - 1 Novembre 2016, Politica | 0 commenti

Un sonoro NO alla confusionaria riforma che è peggio dell’esistente

Un sonoro NO alla confusionaria riforma che è peggio dell’esistente

Sul referendum del 4 dicembre due premesse sono essenziali. Innanzitutto appare rischioso che una riforma della Costituzione, ovvero la legge fondamentale della Repubblica, sia avversata in maniera  così decisa da una fetta consistente della popolazione (e qui si spera che si tramuti nella maggioranza dei votanti). In secondo luogo, è francamente paradossale ed inopportuno che una maggioranza parlamentare, eletta per effetto di una legge elettorale  (il “porcellum”) dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale e puntellata da centinaia di vergognosi cambi di casacca, assuma una funzione costituente.

Ciò detto, è falso il quesito referendario. Falso e furbo, di tipica marca renziana. Così sarà riportato sulla scheda: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?». Superamento del bicameralismo paritario? Si, ma solo per alcuni temi, tanti altri saranno comunque vagliati da entrambe le camere con modalità descritte in maniera alquanto pasticciata. Il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, inoltre, è solamente un vergognoso spot elettorale. La mossa “berlusconiana” di Renzi è che siffatto quesito referendario viene martellato su radio e tv invitando la gente ad andare a votare, in una forma che praticamente è un appello a votare “Si”.

L’aspetto più sgradevole della riforma è comune ad altri provvedimenti di questo governo, tutti sventolati come rivoluzionari, magari anche condivisibili nello spirito, ma deludenti nella pratica. Le modifiche alla Costituzione proposte sono confusionarie, poco chiare, barcollanti. Ma avete davvero provato a leggere i nuovi articoli proposti per la nostra Carta? Nelle parti oggetto di revisione essa viene ridotta ad una qualsiasi leggina del parlamento: illeggibile, complessa, farraginosa.

La confusione nell’esposizione e nella pratica è l’aspetto che caratterizza la descrizione delle funzioni del Senato. Sarebbe stata di gran lunga più efficace l’abolizione totale della Camera alta, soluzione preferita da gran parte degli italiani, che ora invece si vorrebbe composta in maniera altrettanto pasticciata da consiglieri regionali e sindaci in una forma ancora in parte da stabilire. Oppure l’istituzione un vero senato federale, che questo per nulla somiglia al Bundesrat, come millantano parecchi imbonitori del “Si”.

La volontà della riforma è accentratrice. Dopo più di venti anni di tentativi federalisti, si torna improvvisamente indietro. Ma si già sta notando ampiamente il caos provocato dalla legge Delrio, con l’abolizione affrettata e poco ponderata delle province, che ora i cittadini dovranno sancire il 4 dicembre. Si ribadisce che un’efficiente riorganizzazione delle province, con meno funzioni per i governi regionali (rivelatosi in gran parte fallimentari nella gestione di territorio e risorse), sarebbe stata ed è la scelta più adeguata per il nostro Paese. Altro che città metropolitane.

Nell’assegnazione delle competenze esclusive allo Stato, proposte dalle modifiche costituzionali, preoccupano tantissimo quelle segnalate dal “nuovo” art.117 riguardanti: «disposizioni generali e comuni sul governo del territorio», «produzione, trasporto e distribuzioni nazionali dell’energia», «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazioni d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, d’interesse nazionale ed internazionale». Preoccupano perché con l’esclusiva competenza centrale per tali questioni si salta allegramente il passaggio più importante nel portare avanti, ad esempio, un’importante opera pubblica: quello del confronto col territorio, con le amministrazioni regionali, quindi con i cittadini. Escludendo qui ipotesi di “ammiccamento” del governo ai privati ed alle multinazionali.

Invece, ancora non si toccano i vari “statuti speciali” di province come Treno e Bolzano o di regioni come Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Un Paese che vuole unirsi per rilanciarsi in epoche sempre più maledettamente difficili a causa del collasso economico, sociale ed ambientale a livello sistemico, non può non superare disomogeneità per effetto di compromessi del passato.

Si fatica realmente ad individuare aspetti positivi di questa riforma. Sarà per questo che i maggiori costituzionalisti e politologi l’hanno bocciata senza appello. Del resto, la propaganda incentrata sul “meno peggio” piuttosto che sugli “effetti miracolosi” della suddetta sul Pil o sulla politica estera o sull’occupazione, fanno riflettere sulla bontà dei contenuti proposti.

Occorre affermare, con Pasquino, che questa riforma non è «meglio di niente» come pubblicizzano tanti sostenitori, ammettendo come sia lontana dall’essere completamente adeguata, ma è sostanzialmente «peggio dell’esistente». Ergo, se passerà il referendum, farà compiere ai meccanismi che regolano il funzionamento del governo del Paese altri passi indietro. Come un instancabile gambero.

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